Fine vita, il centrodestra scopre le carte: esclusa la sanità pubblica. Forza Italia ammette il compromesso: «Quel punto non lo volevamo»


Il disegno di legge sul fine vita ha tutta l’aria di essere un compromesso a metà strada. Soprattutto per il centrodestra. Il ddl, approvato oggi – 2 luglio – da tutta la maggioranza e respinto dalle opposizioni nelle commissioni Giustizia e Sanità, è atteso in Aula il 17 luglio (anche se non si escludono slittamenti). Ma le polemiche sono iniziate prima, già nella serata del primo luglio, quando il ddl – composto da quattro articoli – è stato depositato. Il punto più discusso è l’articolo 4, secondo cui «il personale in servizio, le strumentazioni e i farmaci, di cui dispone a qualsiasi titolo il Sistema Sanitario Nazionale (Ssn), non possono essere impiegati al fine della agevolazione del proposito di fine vita». Che tradotto significa che chi vuole intraprendere un percorso di fine vita dovrà fare da sé, facendosene carico integralmente, sia sul piano organizzativo che economico. E su questo punto – riferiscono a Open fonti del centrodestra – Forza Italia ha dovuto ingoiare un rospo. «La vita è fatta di compromessi», dicono. Un compromesso, però, che sarebbe stato costruito attorno alle richieste di Fratelli d’Italia. «Quel punto noi non lo volevamo. Ma ora il testo è condiviso».
La scelta di escludere il Servizio sanitario nazionale
Oltre ai dissidi interni, però, ci sono anche questioni legate alla sostanza. E la sensazione è che i confini ancora non siano chiari nemmeno a chi il testo – nella sua prima versione – lo ha scritto. I relatori sono i senatori Pierantonio Zanettin e Ignazio Zullo: il primo tra le fila di Forza Italia, il secondo di Fratelli d’Italia. Interpellato da Open per chiarimenti, Zullo, che è anche medico, spiega il motivo della scelta di escludere il Servizio Sanitario Nazionale: «Morire non è un diritto», taglia corto: «È una scelta personale, quindi, se non è un diritto, i servizi pubblici non sono tenuti a intervenire».
I rischi di incostituzionalità
Non ci saranno rischi di incostituzionalità, almeno secondo chi ha firmato il testo. «Se ci sono rischi su questo, allora ci sarebbero anche per chi compra farmaci di fascia C: c’è chi può permetterseli e chi no. Come l’aspirina. I diritti sono una cosa, le scelte personali un’altra». In sostanza, una mezza ammissione rispetto alle accuse arrivate oggi dalle opposizioni, che parlano apertamente di “classismo”. Perché, de facto, «ci sarà chi potrà permettersi di ricorrere all’eutanasia e chi invece sarà costretto a soffrire le pene dell’inferno perché non ha i soldi», come ha denunciato il deputato di +Europa, Riccardo Magi. E la conclusione – per quanto brutale – suona così: «Se uno non ha i soldi per l’aspirina, semplicemente non la prende. Vale lo stesso discorso», ammette il senatore di FdI.
Dove morire?
Ma quindi, con così tanti paletti, dove sarà possibile morire? La verità è che non è affatto chiaro. Probabilmente non in ospedale, visto che il testo vieta l’uso di strumentazioni del Servizio Sanitario Nazionale e impone che anche i medici coinvolti siano fuori servizio nel momento in cui praticano l’eutanasia. Ma nemmeno in una clinica privata, assicura Ignazio Zullo: «Secondo lei davvero una clinica privata allestisce un’organizzazione per uno, due, tre casi all’anno?». Una risposta che dice molto sulle difficoltà pratiche a cui andranno incontro le persone che chiederanno di accedere al suicidio assistito. «I casi si conteranno sulle dita di una mano», ammette. E quindi, come si farà? «La persona indicherà come intende procedere, con quali mezzi. Si doterà della strumentazione, del personale, dei farmaci. Si doterà».