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La nostra galassia fluttua nel vuoto? Una nuova teoria potrebbe riscrivere la concezione dell’universo

10 Luglio 2025 - 11:20 Alba Romano
terra vuoto universo
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Secondo alcuni astronomi britannici, la Terra e la Via Lattea si troverebbero al centro di un enorme vuoto cosmico. Lo studio presentato alla National Astronomy Meeting di Durham, in Inghilterra

Il nostro pianeta, la Terra, e l’intera Via Lattea potrebbero trovarsi all’interno di un enorme vuoto cosmico, una regione dello spazio con densità di materia inferiore alla media dell’universo. Questa l’ipotesi avanzata da un gruppo di astronomi britannici e riportata da Newsweek. Secondo i ricercatori, questa configurazione potrebbe spiegare perché l’espansione dell’universo sembra più veloce vicino a noi rispetto a quanto previsto dal modello cosmologico standard.

Il nostro pianeta si trova in un vuoto cosmico: lo studio di un gruppo di ricercatori britannici

L’idea è stata presentata al National Astronomy Meeting 2025 della Royal Astronomical Society a Durham, nel nord-est dell’Inghilterra, dove sono stati discussi i dati più recenti sulle cosiddette «oscillazioni acustiche barioniche» (Bao), cioè le tracce delle onde sonore generate nei primissimi istanti dopo il Big Bang. Questi dati, che agiscono come una sorta di «righello cosmico», rafforzerebbero l’ipotesi del gruppo di scienziati, secondo cui il nostro pianeta, insieme all’intera Via Lattea, si troverebbe in un vuoto cosmico, una pozione di spazio con una densità di materia inferiori rispetto al resto dell’universo.

L’enigma cosmologico della tensione di Hubble

Alla base di questa teoria c’è il noto problema della «tensione di Hubble»: il valore della costante di Hubble, che indica la velocità con cui l’universo si sta espandendo, risulta diverso a seconda del metodo di misurazione. Se si osserva l’universo primordiale, ad esempio analizzando la radiazione cosmica di fondo, si ottiene un valore più basso rispetto a quanto rilevato analizzando galassie più vicine e recenti. Questo scarto non è spiegabile facilmente con i modelli attuali. Secondo il dottor Indranil Banik dell’Università di Portsmouth, una possibile spiegazione starebbe proprio nel fatto che ci troviamo all’interno di un vuoto cosmico: «Se la nostra galassia si trovasse vicino al centro di una vasta regione meno densa, la materia circostante verrebbe attratta verso l’esterno, verso zone più dense. Questo movimento, combinato con la diluizione della materia all’interno del vuoto, darebbe l’impressione che l’universo stia espandendosi più rapidamente in questa zona».

Un vuoto profondo un miliardo di anni luce

Per sostenere questa teoria, il vuoto ipotizzato dovrebbe avere un raggio di circa un miliardo di anni luce e una densità inferiore del 20% rispetto alla media cosmica. Le osservazioni suggeriscono che nel nostro universo possano esserci effettivamente meno galassie rispetto ad altre regioni, un dato che sembra andare nella direzione giusta. Tuttavia, l’idea non è priva di punti da chiarire. Il modello cosmologico standard prevede infatti che, su scale così grandi, la materia sia distribuita in modo relativamente uniforme. La presenza di un vuoto così vasto, in cui la densità sarebbe molto diversa dal resto dell’universo, rappresenterebbe quindi una deviazione dalle previsioni più accreditate. Eppure, i nuovi dati sulle oscillazioni acustiche barioniche forniscono supporto all’ipotesi del vuoto: secondo Banik, l’effetto del vuoto locale sulle misurazioni del redshift – il fenomeno che mostra quanto la luce di una galassia si sposta verso il rosso man mano che l’universo si espande – renderebbe il modello del vuoto cento milioni di volte più probabile rispetto ai modelli senza vuoti.

Il prossimo step: la verifica sperimentale

Il prossimo obiettivo degli scienziati sarà confrontare il modello del vuoto locale con altri metodi di misurazione dell’espansione cosmica, come quello dei cosiddetti «cronometri cosmici». Questi strumenti si basano sull’osservazione di galassie che non formano più nuove stelle, analizzando la loro luce e la composizione stellare, è possibile dedurne l’età. Combinando questi dati con la misura del redshift, si potrebbe ricostruire la storia dell’espansione dell’universo in modo indipendente. Se confermata, l’ipotesi di un vuoto cosmico locale potrebbe rivoluzionare la comprensione della struttura dell’universo e offrire finalmente una spiegazione coerente alla tensione di Hubble, uno dei più grandi enigmi della cosmologia contemporanea.

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