Gianmaria Favaretto, lo studente dell’orale rifiutato alla maturità: «Da Valditara una risposta violenta»


Gianmaria Favaretto è lo studente del liceo Fermi di Padova che il 27 giugno si è rifiutato di sostenere l’orale dell’esame di maturità ed è stato promosso. Grazie ai 31 crediti ottenuti nel triennio e ai voti conquistati negli scritti. Lui ha detto di averlo fatto per protestare contro il sistema dei voti. E c’è chi l’ha imitato. Mentre il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha annunciato una riforma della prova per evitare altri casi del genere. Favaretto in un’intervista al Corriere della Sera risponde proprio a Valditara: «Ho provato a seguire le regole, ad affrontare la scuola come gli altri, ma non mi sono sentito a mio agio», esordisce.
Il gesto e le reazioni
Favaretto parla delle reazioni al suo gesto: «Non mi sarei mai aspettato tutto questo, anche perché non sono certo stato il primo a rifiutare l’orale di maturità: già tre ragazze a Venezia lo avevano fatto lo scorso anno». Poi la replica alle parole di Valditara: «Sono senza parole. Non c’è alcun dialogo con gli studenti. Credo che un problema, che evidentemente esiste, si possa provare a risolvere in due modi: o con il dialogo, oppure con la forza. E quella del ministro mi sembra una risposta violenta, per cui sono molto dispiaciuto». Sull’accusa di immaturità, «temo che la mia decisione sia stata travisata, anche a causa di alcuni pregiudizi. Mi è dispiaciuto che la preside del mio istituto mi abbia «bollato» come uno sfaticato. Credo che ciascuno debba sempre mettersi in discussione. Sono deluso da chi dovrebbe guidarci, dagli adulti, e dal fatto che la scuola sia ormai diventata un luogo in cui si trasmettono solo nozioni. C’è molto su cui riflettere».
La competizione
Infine, Favaretto spiega che «esiste una competizione sana, tra pari che si stimano a vicenda. La trovi nello sport, ad esempio. Io gioco a rugby da molti anni e durante gli allenamenti la competizione è presente, ma può essere fruttuosa. A scuola, invece, vedevo un tipo di competizione che in qualche modo tendeva a isolare le persone, a farle sentire sole, più che a sostenerle. Agli obiettivi si dovrebbe arrivare insieme. Invece, in questi anni, mi è sembrato che i miei compagni venissero ridotti ai loro voti, e che quei voti diventassero un pretesto, per chi andava meglio, per sentirsi superiore e screditare gli altri. Se questo accade, è perché il sistema ci spinge in quella direzione. È ciò che ci viene insegnato».