L’attivista per la Palestina Mahmoud Khalil chiede 20 milioni di dollari di risarcimento a Trump: «Arresto illegale e punitivo»


Mahmoud Khalil, attivista palestinese di 30 anni ed ex studente della Columbia University arrestato lo scorso marzo nonostante fosse in possesso della carta verde e successivamente rilasciato, ha chiesto un risarcimento di 20 milioni di dollari all’amministrazione Trump. Secondo quanto riportato nella richiesta avanzata dai suoi legali, il giovane sarebbe stato ingiustamente detenuto e perseguitato per motivi politici, oltre a essere stato diffamato pubblicamente con accuse di antisemitismo. Il caso rappresenterebbe uno dei primi tentativi concreti di chiedere conto, attraverso la legge, delle presunte violazioni dei diritti civili subite da attivisti coinvolti nelle proteste per la Palestina negli Stati Uniti.
Il risarcimento è stato formalmente richiesto giovedì 10 luglio tramite una denuncia depositata ai sensi del Federal Tort Claims Act, che apre la strada a una possibile causa federale. L’esposto nomina direttamente il Dipartimento per la Sicurezza Interna (DHS), l’Immigration and Customs Enforcement (ICE) e il Dipartimento di Stato, come responsabili di una serie di azioni, che – scrive Nbc News – secondo i legali di Khalil, hanno violato la Costituzione e i diritti fondamentali del loro assistito. In una dichiarazione via email, Tricia McLaughlin, portavoce del DHS, ha definito «assurda» la richiesta, accusando il 30enne di «comportamenti e retorica odiosi». La Casa Bianca e l’ICE non hanno risposto immediatamente alle richieste di commento del giornale americano.
«Quello che voglio davvero è responsabilità»
Khalil è non è mai stato formalmente incriminato per alcun reato penale. Era stato arrestato a marzo sulla base di una norma poco utilizzata, che consente l’espulsione di stranieri ritenuti ostili alla politica estera americana. L’amministrazione Trump aveva giustificato la misura accusandolo, senza fornire prove concrete, di legami con Hamas e di promuovere l’antisemitismo. Per l’attivista, che ha trascorso 104 giorni in un centro per immigrati in Louisiana, mentre a New York sua moglie dava alla luce il loro primo figlio, la detenzione non aveva alcuna base legale se non quella di punirlo per le sue posizioni politiche, in particolare per la sua leadership nelle proteste universitarie a sostegno della Palestina.
«Abbiamo chiesto 20 milioni di dollari di danni per l’arresto incostituzionale e per tutte le condizioni a cui è stato sottoposto», ha dichiarato uno dei suoi avvocati. Khalil, dal canto suo, sottolinea che la cifra è solo un mezzo per ottenere ciò che ritiene più importante: «Quello che voglio davvero è responsabilità per quello che mi è stato fatto». L’attivista ha, infatti, spiegato che accetterebbe anche un’ammissione ufficiale di colpa da parte dell’amministrazione Trump in alternativa al risarcimento economico. «Non si tratta di arricchimento personale», ha detto Khalil. «Non voglio questi soldi perché ho bisogno di soldi. Li voglio perché rappresentano una forma di riconoscimento ufficiale del torto subito. Una forma di responsabilità per le persecuzioni e la diffamazione che ho vissuto».
Il processo di espulsione ancora in corso
La richiesta di risarcimento arriva mentre il procedimento di espulsione contro il 30enne è ancora in corso presso la Corte per l’immigrazione. Il governo lo accusa di violazioni amministrative, ma i suoi avvocati affermano che si tratti di una chiara ritorsione per il suo attivismo politico. Secondo Khalil, il suo caso è solo la punta dell’iceberg. «Stanno abusando del loro potere perché si credono intoccabili», ha dichiarato. «Ma finché non ci sarà responsabilità, continueranno ad agire impunemente. Questo è solo il primo passo per farli rispondere di ciò che hanno fatto». Il caso potrebbe aprire un precedente importante per altri attivisti che si ritengono vittime di abusi da parte delle autorità statunitensi.
Foto copertina: ANSA / JULIUS CONSTANTINE MOTAL | Mahmoud Khalil pochi giorni dopo la sua scarcerazione, 22 giugno 2025