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Federica Anghinolfi, uno dei “mostri” di Bibbiano: «Io, invisibile per proteggermi»

12 Luglio 2025 - 06:43 Alba Romano
federica anghinolfi bibbiano
federica anghinolfi bibbiano
Era la responsabile dei servizi sociali della Val d'Enza. L'accusa la indicava come il perno del sistema che rubava i bambini

Federica Anghinolfi era la responsabili dei Servizi sociali della Val d’Enza. L’inchiesta Angeli e Demoni la indicava come il perno del «sistema Bibbiano che rubava i bambini». Dal processo è uscita con una condanna a due anni per falso in bilancio a causa di una fattura da alcune centinaia di euro. E con l’assoluzione per ben 60 capi di imputazione. Tra cui falso ideologico, lesioni personali volontarie ai minori e frode processuale. A Franco Giubilei, che la intervista per La Stampa, racconta che alla lettura della sentenza era felicissima. Ma non è andata in Aula al pomeriggio «perché la mia immagine è stata troppo violata e non avevo intenzione di metterla a disposizione delle telecamere ancora una volta».

Il Mostro di Bibbiano

Anghinolfi spiega che presenterà appello per la condanna per falso in bilancio. Poi parla della vicenda più dolorosa, ovvero le violenze ai bambini. Cominciata a fine 2017: «I carabinieri venivano a sequestrare cartelle di minori, e il decreto di esibizione era firmato dalla dottoressa Salvi, sostituto procuratore. Io non so perché sia iniziata, e non lo so ancora oggi. Come servizio, la collaborazione con le forze dell’ordine era direi quotidiana: nei territori della Val d’Enza vi erano ben sette caserme dei carabinieri. La collaborazione era ottima al punto che uno dei comandanti di una stazione aveva utilizzato il luogo della “Cura” (dove operavano i servizi, ndr) per sentire un minore con l’ausilio di uno psicologo».

La perquisizione

Racconta poi la perquisizione in casa: «Mi dissero che dovevo nominare un avvocato, quello che avevo scelto era anch’esso dentro a questa indagine. Hanno perquisito la casa, preso dispositivi e cellulari, poi mi hanno chiesto di salire in auto e siamo andati al comando provinciale. Arrivati lì, mi hanno preso le impronte digitali, poi fatto il test del Dna». Dice che all’epoca «su consiglio del mio psicoterapeuta trasformai gli arresti domiciliari in una esperienza monastica. Scandivo le giornate con una specie di regola, per dare un senso al tempo e al dolore infinito. Mi sentivo nell’occhio del ciclone. Potevano venire a casa solo il mio psicoterapeuta, il sacerdote, il mio direttore spirituale. Pregavo e meditavo molto, leggevo libri come la biografia di Mandela, Martin Luther King, Bonhoeffer, Dossetti senior, Edith Stein, la Bibbia».

Mindfulness

E ancora: «Ho cercato di diventare invisibile, ho dovuto vendere la casa, allontanarmi. Ci sono stati momenti di depersonalizzazione, ma pian piano qualcosa di importante stava venendo alla luce: la verità, la bontà del nostro operare, la compassione verso chi soffre, non si è mai allontanato dal mio essere. Ho ripreso a studiare, in quattro anni sono diventata counselor e coach, insegnante di mindfulness, un’arte terapeuta». E conclude: «Io non facevo politica, ma mi occupavo di diritti civili, di sostegno alle persone fragili. Ho sempre visto e sperimentato nell’accoglienza quei contenuti dell’andare verso l’altro, che rende tutti più uniti, solidali e umani. La politica nel corso di questi anni di indagini e di processo non ha agito per il bene della polis, questo mi è parso molto chiaro».

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