Ultime notizie DaziDonald TrumpGazaJannik SinnerUcraina
ATTUALITÀDepressioneGiovaniSalute mentaleVideogiochi

Gli scatti d’ira e i videogiochi, il racconto dei genitori di un Hikikomori 15enne: «Alza le mani contro di noi, ma togliergli il pc è stato un errore»

15 Luglio 2025 - 12:41 Alba Romano
hikikomori 15enne pugni scatti ira
hikikomori 15enne pugni scatti ira
Due genitori, rimasti anonimi, hanno parlato di come l'isolamento abbia risucchiato il figlio nella sua cameretta e lontano dai suoi coetanei

Per Dario la sua cameretta, con la porta chiusa, è l’unico posto in cui si sente tranquillo. Le cuffie sono sulle orecchie, il pc è acceso su qualche videogame mentre dalla tapparella abbassata non filtra neanche uno spiraglio di luce. Potrebbero essere le 5 di pomeriggio come le 2 di notte, lui è lì. Dorme poco, esce solo per mangiare. A scuola non ci va. È un Hikikomori, un giovane in «ritiro sociale» che non esce di casa e non cerca mai il contatto umano. Come lui, secondo diversi studi, in Italia ci sono tra le 50mila e le 200mila persone.

L’isolamento e gli scatti d’ira

A raccontare al Corriere della Sera la storia del 15enne Dario, nome di fantasia, sono i suoi genitori. Parlano di un bambino sociale e aperto, che ha affrontato il suo primo periodo di difficoltà alle medie, dove era emarginato e forse bullizzato. Trova rifugio nei videogiochi, gioca fino a tarda notte e si addormenta in classe. «Gli dicevamo per scherzo che sarebbe diventato un Hikikomori, non avremmo mai immaginato…», ricordano i genitori. Poi arriva la prima superiore. I primi mesi filano lisci, senza insufficienze e con meno ore passate davanti al pc. Passano le vacanze di Natale e al rientro, mentre alcuni compagni affrontavano un periodo di ripasso, le giornate di Dario si riempiono di tempo libero. Il pc è lì, a portata di mano. Il 15enne si chiude, in sé e nella sua cameretta. Inizia ad accumulare assenze su assenze, i genitori reagiscono togliendogli telefono e pc e lo ricattano: «Te lo ridiamo se torni a scuola». Lui non ci sta, ha scatti d’ira, dice ai genitori che li odia e arriva ad alzare le mani contro di loro: «Togliere il pc è stato l’errore più grande che potessimo fare, era il suo unico modo di comunicare con gli amici che si è fatto in giro per l’Italia». Dopo un mese decide di tornare a scuola. Nonostante gli insegnanti fossero stati avvisati, viene subito interrogato in latino e prende 3: «Non ha più rimesso piede in classe».

Il percorso con gli psicologi e la visita ai nonni

Gli episodi di rabbia però continuavano, tanto che un giorno il padre decide di chiamare il 118: «Vederlo andare via in ambulanza, che ci malediceva, è stata una delle scene peggiori della mia vita». Poi la famiglia incontra il progetto «Segmenti consapevoli», della cooperativa Stripes, che mira a intercettare proprio i giovani in ritiro sociale o che mostrano i primi segni di disagio in quella direzione. «Uno psicologo viene a trovare Dario e si sistema fuori dalla porta della cameretta, nella speranza di poterlo incontrare di persona quando sarà pronto», raccontano i genitori. «Parlano anche della scuola, per la prima volta si ipotizza un ritorno, in un altro istituto e in un altro corso di studi». Dario esce dalla camera solo per prendere lezioni di pianoforte dalla sua maestra di sempre e per mangiare con la famiglia: «Non dobbiamo essere amici dei nostri figli, ma guide. Lasciar loro indipendenza senza dare troppa protezione». Una sola altra volta Dario ha aperto la porta della sua camera, per andare a trovare di nascosto i nonni.

leggi anche