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Maturità boicottata, parla il pedagogista Corsini: «Il sistema di valutazione degli studenti non funziona più» – L’intervista

21 Luglio 2025 - 15:49 Ygnazia Cigna
maturità boicottata pedagogista
maturità boicottata pedagogista
Le proteste dei maturandi si sono moltiplicate per settimane: il commento dell’esperto di valutazione scolastica a Open

«Gli studenti in protesta hanno manifestato un disagio. Bisogna ascoltarli, non punirli». Così commenta a Open il pedagogista Cristiano Corsini, docente universitario esperto di valutazione scolastica e autore di La valutazione che educa (Franco Angeli) e La fabbrica dei voti (Laterza), a proposito delle proteste degli studenti e delle studentesse che hanno scelto di fare scena muta contro il sistema dei voti, troppo competitivo ai loro occhi. Ad aprire la strada è stato Gianmaria Favaretto a Padova e da lì, altri studenti hanno seguito il suo esempio di fare scena muta all’orale. L’ultimo in ordine di tempo è stato Pietro Marconcini, che nei giorni scorsi ha scelto per una forma diversa di protesta: invece di rifiutarsi di parlare, ha scritto una lettera al ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara chiedendo che, a maturità conclusa, il suo voto fosse abbassato al minimo. Una protesta che, secondo il pedagogista Corsini, va letta non come una provocazione da sanzionare, ma come un segnale da ascoltare.

Professore, cosa pensa delle proteste dei maturandi che hanno rifiutato di sostenere l’orale come forma di dissenso contro il sistema dei voti?

«Credo che questi studenti stiano sollevando una questione reale, importante, e che meriti attenzione. Non mi sento di giudicare il modo in cui hanno scelto di protestare, se hanno fatto bene o male. Ma non si può ignorare il messaggio che stanno lanciando. Anche se al momento si tratta di una minoranza, il segnale è chiaro: esiste un malessere profondo legato al sistema della valutazione scolastica».

Ovvero?

«Non si tratta del voto in sé, alto o basso che sia. Il punto non è l’esito, ma lo strumento. Questi ragazzi reclamano un altro tipo di valutazione. E, attenzione: quando si chiede un diverso modo di valutare, si sta in realtà reclamando un’altra didattica, un’altra scuola. Ed è proprio questo, credo, il nodo centrale della questione».

Eppure, molte reazioni, soprattutto dal mondo adulto, sono state di condanna. Come lo spiega?

«Noi adulti ci stiamo preoccupando troppo di giudicare le loro scelte. È un atteggiamento ricorrente. Le generazioni più anziane tendono a idealizzare il proprio passato, a rappresentarsi come più serie, più disciplinate. È una narrazione che ritorna ciclicamente e che, purtroppo, impedisce il dialogo intergenerazionale. Così facendo, si perdono sia le differenze sia la possibilità di costruire continuità. Ma è anche un modo per non ascoltare le nuove generazioni, per evitare di mettere in discussione abitudini consolidate, ma disfunzionali. Una di queste è proprio l’uso del voto».

Secondo lei, il sistema di valutazione attuale è davvero uno strumento inadeguato?

«Diciamo che non funziona benissimo. È impreciso, genera frustrazione dal fatto che sia competitivo. Ma tutto dipende da quale pensiamo debba essere la funzione della scuola. Se pensiamo che debba scremare i migliori, allora ha senso che il sistema sia competitivo e abbia i voti. Ma se abbiamo un obiettivo diverso, allora bisogna cambiare anche il modo in cui valutiamo».

Esistono alternative concrete?

«Certo. Ad esempio, si può descrivere lo sviluppo delle competenze e delle conoscenze senza ridurle a un numero. Esistono modalità narrative, descrittive, personalizzate. Il punto è che le usiamo poco perché, in fondo, famiglie, dirigenti e docenti assegnano alla scuola il compito di selezionare e classificare. Il compito di incentivare il livello di competitività esiste già nella nostra società, quindi bisogna mettersi d’accordo su cosa ci aspettiamo dalla scuola, altrimenti è inutile pensare di mettere su un sistema di valutazione che con questo non c’entra nulla».

In tutto questo, che ruolo dovrebbero avere genitori e insegnanti?

«Dovrebbero ascoltare e aprirsi al confronto. Ho visto molte reazioni di chiusura, ma anche atteggiamenti maturi e costruttivi. Alcuni hanno capito che gestire il conflitto è, in fondo, il vero esame di maturità. Altri invece si sono trincerati dietro il giudizio e la punizione. Quando il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, dice: “L’anno prossimo questi studenti li bocciamo”, significa che sta evitando il problema concentrandosi sulla persona per punirla. La cosa peggiore da fare in questo momento è proprio giudicare le persone e ignorare il problema».

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