La fine del segreto salariale: così dal 2026 si potrà sapere quanto guadagnano i colleghi


Il gender pay gap in Italia è in media del 5,6%. E non solo. Ma dal 7 giugno 2026 entrano in vigore le norme Ue sulla trasparenza salariale. Le aziende dovranno rivelare gli stipendi medi e per genere. E gli annunci di lavoro dovranno indicare i salari. Mentre sarà vietato chiedere lo storico retributivo durante i colloqui. Il ministero del Lavoro guidato da Marina Calderone ha istituito un tavolo con le parti coinvolte in vista della scadenza. Ma, spiega oggi La Stampa, le regole sono chiare: ogni lavoratore avrà diritto di sapere quanto guadagnano, in media, i colleghi nello stesso ruolo, distinti per genere. E se tale divario supera il 5% senza una giustificazione oggettiva, l’azienda deve correggere il tiro (pena sanzioni).
Il gender gap e la trasparenza preventiva
Il gender pay gap, ovvero il divario fra la busta paga di una donna rispetto al collega maschio, si aggira intorno al 5,2% nel pubblico e al 15,9% nel privato. «Il divario ufficiale medio in Italia appare più basso ma non è proprio così», spiega al quotidiano Paola Profeta, pro-rettrice per la Diversità, inclusione e sostenibilità all’università Bocconi di Milano. «Le rilevazioni avvengono solo sulle donne occupate che, peraltro, spesso sono impiegate nel settore pubblico dove i contratti garantiscono meno disparità. Il vero nodo, poi, è il nostro tasso di occupazione femminile che resta il più basso in Europa». Con le nuove norme è prevista la trasparenza preventiva. Gli annunci di lavoro dovranno riportare la fascia di retribuzione, eventuali parti variabili e altre voci da applicare in base contratto collettivo di riferimento.
Lo storico salariale
Sarà poi vietato chiedere ai candidati lo storico salariale, ovvero lo stipendio attuale o quelli precedenti. L’assunto invece ha diritto alla trasparenza salariale. Ogni dipendente (da solo o tramite i rappresentanti dei lavoratori o un organismo per la parità) può chiedere e ricevere (entro due mesi) informazioni chiare su strutture e criteri retributivi usati in azienda, sui livelli salariali individuali e medi, ripartiti per genere. Non si potrà chiedere la busta paga del collega. Ma quanto guadagna in media un collega nella stessa posizione. I datori di lavoro dovranno istituire un canale per le domande e produrre report periodici sui livelli retributivi. Le più piccole, assenti nel report, sono comunque tenute a garantire trasparenza individuale ai fini della parità.
I criteri di valutazione del lavoro
Infine, ci sono i criteri di valutazione del lavoro oggettivi. «Ben venga la direttiva per una maggiore trasparenza salariale ma serve un coinvolgimento attivo delle parti sociali per definire criteri di valutazione del lavoro, strutture di classificazione e definizione di “lavoro di pari valore”», chiarisce Mattia Pirulli, segretario confederale della Cisl. «Il concetto introdotto ora può essere complesso e di difficile attuazione e andrebbe affidato alla contrattazione collettiva di settore». Se il divario supera il 5% senza motivazione oggettiva, il datore di lavoro deve intervenire con adeguate misure di contrasto. Se c’è inerzia, scattano sanzioni ed è invertito l’onere della prova: è l’azienda che deve dimostrare l’assenza di discriminazione. Altrimenti, il lavoratore potrà chiedere il risarcimento o la riparazione del danno subito.