L’Antitrust multa Armani per 3 milioni e mezzo di euro. L’inganno della tutela dei lavoratori (che in subappalto non c’era)


L’Antitrust ha irrogato alle società Giorgio Armani S.p.A. e G.A. Operations S.p.A. una sanzione di 3,5 milioni di euro per pratica commerciale ingannevole. In particolare, si legge in una nota dell’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato «le società hanno reso dichiarazioni etiche e di responsabilità sociale non veritiere e presentate in modo non chiaro, specifico, accurato e inequivocabile». La società replica, dicendo che impugnerà la decisione. «Giorgio Armani S.p.A. accoglie con amarezza e stupore la decisione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, giunta a conclusione del procedimento avviato a luglio 2024 per presunta pubblicità ingannevole, con la quale la società G.A Operations S.p.A e la capogruppo Giorgio Armani S.p.A vengono sanzionate – si legge nella nota – la decisione verrà quindi impugnata davanti al Tar, nella certezza di aver sempre operato con la massima correttezza e trasparenza nei riguardi dei consumatori, del mercato e degli stakeholder, così come dimostrato dalla storia del Gruppo».
Rimossi i dispositivi di sicurezza dai macchinari. E molti lavoratori in nero
Secondo l’Antitrust le due società hanno diffuso dichiarazioni etiche e di responsabilità sociale ingannevoli in contrasto con la realtà fornita da fornitori e subfornitori cui è stata esternalizzata larga parte della produzione di borse e accessori. Tali dichiarazioni sono presenti nel Codice Etico delle società, in documenti pubblicati sul sito Armani Values (www.armanivalues.com) e sul sito Armani (www.Armani.com). Secondo l’Autorità è emerso, da un lato, che le società hanno enfatizzato la loro attenzione alla sostenibilità usandola anche come uno strumento di marketing. E la dicitura “Armani Values” lo dimostra, come anche alcuni documenti acquisiti nel corso delle ispezioni. Dall’altro lato, le società hanno scelto di esternalizzare larga parte della propria produzione di borse e accessori in pelle a fornitori che, a loro volta, si sono avvalsi di subfornitori. Presso questi ultimi, in diversi casi, è emerso che erano stati rimossi i dispositivi di sicurezza dai macchinari per aumentarne la capacità produttiva, in tal modo ponendo a grave rischio la sicurezza e la salute dei lavoratori. Non solo: le condizioni igienico-sanitarie non erano adeguate, con lavoratori spesso impiegati totalmente o parzialmente in “nero”.
L’ispezione
«In tale contesto, è evidente che il rispetto dei diritti e della salute dei lavoratori non è risultato corrispondente al tenore delle dichiarazioni etiche e di responsabilità sociale diffuse da Giorgio Armani S.p.A. e G.A. Operations S.p.A.», spiega l’Antitrust. E le case madri non avrebbero vigilato abbastanza. «Nel corso di un’ispezione di Polizia Giudiziaria in una di queste aziende era presente un dipendente di G.A. Operations preposto al controllo della qualità delle lavorazioni, il quale ha dichiarato di “recarsi mensilmente presso quel laboratorio da circa sei mesi“», spiegano dall’Autorità. A pesare anche un documento interno alla Giorgio Armani S.p.A. del 2024, precedente all’apertura della procedura di amministrazione giudiziaria richiesta dalla Procura della Repubblica di Milano, si afferma addirittura che «nella migliore delle situazioni riscontrate, l’ambiente di lavoro è al limite dell’accettabilità, negli altri casi, emergono forti perplessità sulla loro adeguatezza e salubrità».