L’esercito israeliano e i dubbi su un piano a cui non crede: «Abbiamo lasciato Gaza nel 2005, era insostenibile. Cos’è cambiato ora?»


«Stanno caricando i nostri soldati d’un compito impossibile. Li espongono a minacce quotidiane. Li mettono al centro d’una crisi umanitaria irrisolvibile. Ci siamo già passati, per queste cose. Abbiamo lasciato Gaza nel 2005 proprio perché era insostenibile. Che cos’è cambiato, adesso, per rendere praticabile un’occupazione militare del genere?». La domanda, pesante come un macigno, arriva dal tenente colonnello Peter Lerner, per 25 anni portavoce delle forze di difesa israeliane (Idf). Lerner non è il solo ad esprimere scetticismo: nelle ultime settimane, l’ipotesi di una rioccupazione totale della Striscia di Gaza sta generando crescenti perplessità anche ai vertici militari.
I numeri che servirebbero per controllare la Striscia di Gaza
Secondo le stime interne, servirebbero almeno 250mila soldati per controllare militarmente l’intera Striscia: sessantamila da impiegare subito nell’assedio di Gaza City, gli altri nei mesi successivi. Una prospettiva che appare irrealistica a molti ufficiali. «E dove andiamo a prenderli?», ha chiesto in tono provocatorio un alto grado, commentando la notizia che il Capo di Stato Maggiore, Eyal Zamir, presenterà il piano tra due settimane. Lerner teme che dietro la formula “controllo della sicurezza di Gaza” si nasconda molto di più: «Temo sia solo un eufemismo per eseguire una rioccupazione e forse anche un reinsediamento di coloni. Questo controllo significa una presenza militare permanente all’interno di Gaza, con l’Idf costretta a fare da responsabile della legge, dell’ordine e perfino dell’amministrazione civile».
I riservisti sempre meno disposti a presentarsi ai richiami
Oggi, dopo decenni di occupazione in Cisgiordania e quasi due anni di guerra ininterrotta, l’Idf appare stanca e logorata. Dopo l’attacco del 7 ottobre 2023, l’afflusso emotivo aveva spinto le risposte alla chiamata militare oltre il 100%, ma ai recenti richiami solo il 35-40% dei riservisti si è presentato, e meno della metà si dice pronta a un secondo turno a Gaza. I motivi sono concreti: dei 295mila soldati richiamati finora, quasi uno su due ha famiglia, uno su venti ha perso il lavoro, e 75mila imprese hanno chiuso. Molti militari hanno divorziato, perso risparmi, abbandonato gli studi. La dimensione psicologica è drammatica: nel 2024 i suicidi fra i soldati sono stati 21 — più che nei dieci anni precedenti — e le richieste d’aiuto alle ong specializzate sono esplose, con un aumento del 145% delle tendenze suicidarie.
Il costo umano e politico del controllo di Gaza
Mantenere il controllo di Gaza significherebbe, spiega Lerner, «sorvegliare ogni vicolo, amministrare ogni centrale elettrica, finanziare ogni scuola e ospedale». Un impegno che richiederebbe decine di migliaia di soldati in rotazione per anni, con costi di decine di miliardi di dollari l’anno, oltre alla ricostruzione e agli aiuti umanitari. Sul piano strategico, la trappola è evidente: «Hamas continuerà la sua guerra dei guerrilla, verrà rafforzata. Noi saremo sempre più invischiati e le nostre azioni saranno sempre meno legittime. Questa non è sicurezza. Non riporterà a casa gli ostaggi. È solo una trappola».