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Trump e Putin in Alaska, il significato politico e gli interessi economici: perché i due leader hanno scelto l’ex territorio russo per incontrarsi

10 Agosto 2025 - 08:15 Cecilia Dardana
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Un secolo e mezzo fa, l’Alaska apparteneva alla Russia zarista, che nel 1867 la vendette agli Stati Uniti per soli 7 milioni di dollari (circa 120 milioni odierni)

Il 15 agosto segnerà un momento storico: Donald Trump e Vladimir Putin si incontreranno in Alaska, nel primo faccia a faccia tra i leader di Stati Uniti e Russia dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina e il primo dal 2019. Un vertice che, per collocazione e tempistica, appare carico di significati geopolitici e allusioni storiche. La scelta della sede non è casuale. Un secolo e mezzo fa, l’Alaska apparteneva alla Russia zarista, che nel 1867 la vendette agli Stati Uniti per soli 7 milioni di dollari (circa 120 milioni odierni). Una mossa allora giudicata da alcuni americani un azzardo costoso, ma che si rivelò un colpo strategico: poco dopo furono scoperti giacimenti d’oro e, successivamente, immense riserve di petrolio.

La vendita dell’Alaska dalla Russia agli Stati Uniti

La storia della vendita dell’Alaska potrebbe, per qualcuno, sembrare una metafora inquietante per l’attuale crisi ucraina: territori che cambiano mano, risorse contese, calcoli geopolitici a lungo termine. Se nell’Ottocento lo zar Alessandro II, schiacciato dai debiti della sconfitta in Crimea, vedeva l’Alaska come un peso remoto e poco utile, oggi Putin sembra guardare all’Ucraina come a un territorio irrinunciabile, mentre Washington vede Kiev come parte di un più ampio scacchiere strategico. Nell’Ottocento, alcuni funzionari statunitensi considerarono l’acquisto dell’Alaska un primo passo verso l’annessione del Canada – un’idea mai realizzata ma che Donald Trump, in tempi recenti, ha accennato scherzosamente.

Il significato politico di incontrarsi in Alaska

Accettando di incontrare Trump sul suolo americano, Putin invia un segnale ambiguo: da un lato appare come una concessione diplomatica, dall’altro come un ritorno ufficiale sulla scena internazionale, nonostante il mandato d’arresto emesso dalla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra in Ucraina. Un ritorno in “casa” del leader dell’Occidente, in un contesto in cui gli Stati Uniti stessi non riconoscono la giurisdizione dell’Aia. Secondo indiscrezioni, l’Italia – con Giorgia Meloni in prima linea – aveva offerto Roma come sede neutrale, ma la proposta sarebbe stata scartata per via delle posizioni espresse dal presidente Sergio Mattarella, giudicate troppo vicine alla linea occidentale.

Gli interessi economici

L’Alaska non è solo un simbolo storico: è una regione di immenso valore strategico. Con oltre 1,7 milioni di chilometri quadrati, sei volte l’Italia, e una popolazione di poco più di 730 mila abitanti, si affaccia sul Mar Glaciale Artico, sul Pacifico e confina con il Canada e lo stretto di Bering, a meno di 100 km dalla Russia. È una porta naturale verso il Polo Nord e verso le nuove rotte commerciali e di sfruttamento delle risorse rese accessibili dallo scioglimento dei ghiacci artici. Oggi la sua economia si fonda su pesca, turismo e, soprattutto, combustibili fossili. In un’epoca in cui la competizione globale per le risorse energetiche e minerarie è in crescita, discutere di pace e guerra in un territorio simile significa inevitabilmente affrontare anche interessi economici e di sicurezza a lungo raggio. La sede scelta quindi sembra suggerire che il dibattito toccherà non solo tematiche legate alla guerra in Ucraina ma sarà molto più ampio: Artico, energia, sfere d’influenza e ridefinizione degli equilibri globali.

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