I bambini invisibili dei campi rom di Milano, niente scuola né vaccini: «Il monitoraggio è complicato»


È un’infanzia rubata quella di oltre 100 bambini, figli delle famiglie rom di passaggio che vivono in accampamenti abusivi nel milanese. Non vanno a scuola, non risultano all’anagrafe, non sono sottoposti alle cure necessarie. Si fermano per poche settimane e poi spariscono all’arrivo della polizia locale, per ricomparire poco dopo in un altro punto della città. Martedì il Tribunale ha disposto il ricovero in comunità per dieci minori che vivevano in via Selvanesco 50, lo stesso insediamento dove ad agosto quattro ragazzini avevano rubato un’auto e travolto una donna, uccidendola.
La trasformazione dei campi rom
Quello dei «bambini invisibili» non è un fenomeno nuovo, ma negli ultimi anni si è trasformato. «Non ci sono più le grandi baraccopoli da migliaia di presenze, dove i minori erano completamente abbandonati», spiega Stefano Pasta della Comunità di Sant’Egidio a Repubblica. «Dal 2010 a oggi a Milano abbiamo accompagnato 97 famiglie (oltre 500 persone) dalle baracche alle case, abbiamo seguito la scolarizzazione di oltre 300 minori». Oggi a Milano restano tre campi regolari, in via Negrotto, via Impastato e via Chiesa Rossa, con circa 400 abitanti. «Ci sono circa cento bambini e ragazzi in età dell’obbligo scolastico e vengono seguiti da equipe di educatori che li seguono sia in classe sia nel campo» spiegano dall’assessorato al Welfare».
I pregiudizi
Nei campi irregolari intervengono soprattutto le unità mobili della Caritas Ambrosiana. «Queste famiglie sono itineranti, ma non sconosciute», sottolinea Sabrina Ignazi. «Occorre investire maggiormente su iniziative di carattere preventivo, che richiedono tempi di aggancio e costruzione della fiducia necessariamente lunghi. Ma c’è anche una questione di pregiudizio: quando un bambino è rom, l’atteggiamento delle istituzioni e degli operatori scolastici, tende a essere più lassista, a tollerare assenze» sottolinea Ingani.