Buoni pasto da 10 euro, verso l’aumento della soglia esentasse: che cosa cambia per i lavoratori


Il governo sta valutando di alzare la soglia della tassazione dei buoni pasto da 8 a 10 euro. Lo ha annunciato il viceministro dell’economia Maurizio Leo, in un’intervista a Repubblica, parlando della prossima Legge di bilancio. La misura, che permetterebbe alle aziende di aumentare il valore dei buoni pasto senza doverci pagare ulteriori tasse, va incontro alla necessità di aumentare il potere d’acquisto dei lavoratori, così che possano far fronte a pause pranzo sempre più care per via dell’inflazione. Si stima infatti che nel corso degli anni i costi dei pasti siano cresciuti fino ad arrivare a una media di 12,50 euro.
La proposta di alzare a 10 euro la soglia tassabile
Attualmente i buoni pasto sono esentasse fino a 4 euro al giorno se cartacei (ormai pressoché superati) e fino a 8 euro al giorno per la versione elettronica. A quelli che hanno un valore superiore a questa soglia, la parte eccedente viene tassata come fosse reddito da lavoro dipendente. È proprio qui che agisce la proposta al vaglio del governo: la volontà di alzare la soglia esentasse a 10 euro e di portarla in manovra è stata della senatrice FdI Paola Mancini, membro della Commissione Lavoro del Senato, che già un paio di anni fa aveva presentato un piano, poi bloccato per assenza delle risorse finanziare necessarie.
Chi guadagnerebbe dalla soglia defiscalizzata a 10 euro
Apparentemente, il vantaggio maggiore sarebbe per i lavoratori, mentre allo Stato, secondo la Ragioneria, la misura «costerebbe circa 70-80 milioni di euro l’anno». C’è però da considerare anche la ricaduta sul sistema economico nel suo complesso. Secondo una ricerca di Sda Bocconi, il sistema dei buoni pasto sostiene 220 mila lavoratori direttamente e indirettamente, generando un valore pari allo 0,75% del Pil nazionale. Nel 2023 i consumi tramite buoni pasto hanno contribuito con 419 milioni di euro di Iva. Inoltre, già oggi il ticket ha un’efficace funzione di integrazione al reddito. In particolare, per le famiglie del ceto medio, tra i 25-50.000 euro, il suo apporto in un anno equivale in media a una mensilità in più. Con una soglia di 8 euro e considerando 220 giornate lavorative, si arriva a 1.760 euro l’anno. Ma se la soglia salisse a 10 euro, l’importo salirebbe a 2.200 euro: significherebbe una crescita di 440 euro circa netti in busta paga, subito spendibili.
Il ruolo dei buoni pasto nel Pil
Uno studio realizzato da Teha Group, The European House – Ambrosetti, in collaborazione con Edenred ha analizzato l’impatto di una estensione della soglia a 10 euro: a fronte di un costo aggiuntivo per lo Stato (di circa 70-90 milioni), si avrebbe però un aumento dei consumi tra 1,7 e 1,9 miliardi, che comporterebbe un maggior gettito Iva, compreso tra 170 e 200 milioni. Quindi il beneficio netto finale per le casse pubbliche sarebbe di 95-110 milioni. La misura di aumento della quota defiscalizzata da 8 a 10 euro interesserebbe 3,5 milioni di lavoratori che usufruiscono dei buoni (di cui 2,8 milioni nel privato e 700 mila nel pubblico), più di 250 mila enti che acquistano il servizio (tra imprese, organizzazioni e pubblica amministrazione) e 170 mila esercizi convenzionati, come bar, ristoranti e gastronomie.