«Cerco un medico che mi aiuti a morire», l’appello di Libera paralizzata dal collo in giù. Il caso della 55enne toscana e i dispositivi autorizzati che non ci sono

Libera (nome di fantasia) non ce la fa più e rinnova il proprio appello. La 55enne malata di Sla toscana ha ottenuto l’okay per poter procedere al suicidio assistito, ma è paralizzata dalla collo in giù. Per questo, non può somministrarsi il farmaco letale da sola, come previsto dalla legge italiana. È di oggi, lunedì 13 ottobre, la notizia che al momento non esistono, secondo i pareri tecnici richiesti dal giudice dopo quanto indicato dalla Consulta, a cui la donna si è rivolta, dispositivi idonei all’autosomministrazione del farmaco tramite comando oculare o vocale o altre modalità non manuali. «Il limite della mia sopportazione è stato superato. Chiedo l’aiuto di un medico per poter morire», ha detto la donna, nel proprio appello. Dal canto suo, l’associazione Luca Coscioni ha fatto sapere di essere pronta alla disobbedienza civile per poter aiutare la 55enne.
L’appello di Libera: «Chiedo l’aiuto di un medico per morire»
Il 25 luglio la Consulta – interpellata su un caso di richiesta assistita di fine vita – aveva negato per l’ennesima volta la possibilità di un intervento di terzi, dando invece il via libera a dispositivi comandati da voce e occhi. A ora, però, non esiste nessun dispositivo che permetta l’autosomministrazione del farmaco. Questa conclusione è l’esito dei pareri tecnici da parte del ministero della Salute, l’Istituto Superiore di Sanità e del Consiglio superiore di sanità richiesti dal giudice di Firenze dopo la sentenza della Corte costituzionale che aveva appunto dichiarato inammissibile il quesito sull’eutanasia. Per la donna, l’unica speranza resta quella di farsi aiutare da un medico: «Il limite della mia sopportazione è stato superato. Chiedo l’aiuto di un medico per poter morire», ha detto nel suo ultimo appello.
L’intervento dell’Associazione Luca Coscioni
«Se lo Stato italiano non troverà il modo di porre immediatamente fine allo scaricabarile istituzionale contro Libera, ci assumeremo la responsabilità di aiutarla con azioni di disobbedienza civile contro la violenza che sta subendo», Libera. Lo ha detto Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Coscioni e presidente di Soccorso Civile, a proposito del caso di Libera. La donna nel marzo 2024 aveva fatto richiesta all’Asl di poter accedere al suicidio medicalmente assistito. Inizialmente il parere era stato negativo, per il rifiuto della donna di sottoporsi alla nutrizione artificiale con la Peg, interpretato come mancato soddisfacimento di uno dei requisiti previsti dalla sentenza 242 del 2019 della Corte costituzionale (Cappato/Dj Fabo). «Pretendono che io mi sottoponga a un trattamento sanitario invasivo contro la mia volontà per poi poterlo interrompere e ricorrere al suicidio assistito. Tutto questo è crudele e umiliante. Io, a oggi, voglio solo essere libera di scegliere come e quando morire», furono le parole di Libera diffuse allora dall’associazione Luca Coscioni. L’iter sembrava essersi sbloccato a luglio di un anno fa, alla luce della sentenza 135/2024 della Consulta che aveva esteso l’interpretazione del concetto di trattamento di sostegno vitale.
Il ricorso al tribunale di Firenze e il parere della Consulta
A quel punto ci si era appellati al tribunale di Firenze per ottenere l’autorizzazione per il medico di fiducia di Libera. Il 30 aprile, infatti, il tribunale aveva ritenuto «rilevante e non manifestamente infondata» la questione, per contrasto con gli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione, nella parte in cui l’articolo 579 non esclude la punibilità del medico che attua, con le modalità della legge 219/2017 (che norma consenso informato e Dat) la volontà suicidaria di un paziente, per il quale ricorrono le condizioni del suicidio assistito. Chiamata in causa, la Consulta aveva stabilito che il giudice non aveva motivato in maniera adeguata in merito alla reperibilità del dispositivo di autosomministrazione farmacologica azionabile dal paziente che abbia perso l’uso degli arti, cioè una pompa infusionale attivabile con comando vocale o tramite la bocca o gli occhi. Per il momento, il dispositivo non c’è, quindi resta fermo anche il diritto di Libera di avvalersene.
