Il Vernacoliere chiude dopo 43 anni, il dolore di Mario Cardinali: «Dissi no a Berlusconi, volevo essere libero»


Il Vernacoliere chiude i battenti dopo 43 anni: quella di novembre sarà l’ultima locandina del più noto giornale satirico italiano che le edicole esporranno. Non è chiaro se il sito online continuerà a essere attivo o se il novembre 2025 sarà segnato come data in cui il mensile si è spento per sempre. Dalla prima pagina con Papa Giovanni Paolo II, che scatenò le prime polemiche e fece esplodere la notorietà del giornale in tutta Italia, fino ai social di oggi, distruttivi per un’impresa in dialetto livornese, o meglio in vernacoliere. «Il mercato è cambiato. La società è in declino, non legge più. I social hanno ammazzato il dibattito», confessa a Repubblica il fondatore e direttore, Mario Cardinali. «Io sono stanco? Riposerò solo nella bara, ma i soldi ormai faticano a rientrare».
La locandina del successo sul Papa: «Enormi polemiche»
L’esordio arriva nel 1982, dopo che Cardinale ha provato la strada dell’agente di pubblicità e di alcuni piccoli giornali come Livornocronaca, un settimanale dedicato alla città toscana. A fare le fortune del Vernacoliere è la visita di papa Wojtyla allo stabilimento Solvay di Livorno: «In copertina gli facemmo dire: “Cari fratelli, anch’io ho lavorato in fabbrica”. E una voce fuoricampo: “Dé, ma hai anche smesso”. Ma il problema fu la locandina, dove scrivemmo: “Boia, ‘r Papa a Livorno”. Ci furono grandi polemiche, non si capiva che “boia”, in livornese, è un’esclamazione e non era riferito al Papa».
Il no a Berlusconi e l’emancipazione: «Legami con la politica? Mi sdegnano»
La parola d’ordine è di sicuro libertà: «Per dirigere questa pubblicazione bisogna aver la voglia di sbeffeggiare il potere, ma non tanto per farlo, bensì come forma di critica sociale», ha detto Cardinale sollevando più di un dubbio sull’individuazione di un possibile successore. «Siamo arrivati a vendere anche 40 mila copie al mese, con abbonati in tutto il mondo, alcuni ci sono anche adesso che stampiamo 10 mila copie. Il numero che ha venduto di più, 65 mila copie, è stato quello su “Mani Pulite” nel maggio 1992, titolammo: “Come Di Pietro: Operazione culo sudicio”, riferito alle deiezioni dei bagnanti». Una libertà per cui Cardinale ha rinunciato a un assegno in bianco da parte di Silvio Berlusconi: «Alcuni anni fa venne il direttore generale della Mondadori da Milano. Mi chiese i diritti dell’agenda del Vernacoliere. Il manager mi dette un assegno da riempire come volevo. E io gli dissi: “Allora lei non ha capito niente, la mia libertà non è in vendita”». Ma libertà è anche l’assenza di legami politici: «Mi sdegnano, perché sono sempre stato fuori da associazioni e organizzazioni varie, partitiche, religiose o militari. Voglio la mia libertà».
Il segreto del livornese: «È contro ogni regola, anche “figlio di p…” ha un valore diverso»
Il segreto di tutto è la lingua, un’arma inaspettata in un’Italia che si muove sempre più lontano dai particolarismi locali. «Per la mia città la lingua è una filosofia. A Livorno un concetto si esprime sempre per motti», ha spiegato. «Il livornese nasce quando Ferdinando de’ Medici pubblica le “Leggi livornine” alla fine del Cinquecento. Volevano fondare la città e così invitarono chiunque, basta che non avessero commesso regicidio o battuto moneta falsa: un cacciucco di etnie. E essendo quasi tutti uomini soli, la sera avevano bisogno di compagnia e arrivarono le “donnette di cianca larga”, dove cianca sta per gamba. Un’espressione bellissima, per questo da noi “figlio di puttana” ha un altro valore». Una lingua che rispecchia l’emancipazione del Vernacoliere: «Il livornese ha una mentalità libertaria ma non anarcoide, delle regole se ne frega proprio. Se entra in ambulatorio medico e c’è scritto “vietato sputare in terra”, ha difficoltà a non farlo. Trova soddisfazione nelle cose terrene: far l’amore e mangiare».