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Il padre di uno dei ragazzi dell’accoltellamento di Corso Como: «Mio figlio non c’entra, è un ragazzo educato»

22 Novembre 2025 - 06:57 Alba Romano
accoltellamento corso como ragazzi arrestati ahmed
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Ahmed Atia è in carcere. Il padre Arshaf lo difende

Arshaf Atia, egiziano, è il padre di Ahmed. Suo figlio è in carcere. Con l’accusa di far parte del gruppo di 5 ragazzi monzesi, due 18enni e tre di 17, accusati del pestaggio con accoltellamento finale alla schiena che ha ridotto in fin di vita uno studente della Bocconi a Milano. Eppure oggi al Quotidiano Nazionale dice che il figlio «è un bravo ragazzo, educato». Che «non c’entra nulla, si è trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato con le persone sbagliate. Se si guardano le immagini, si vede benissimo che mio figlio era lontano. Non ha colpito quel ragazzo».

Il padre di un ragazzo della baby gang

Secondo il padre Ahmed conosceva solo uno dei componenti della baby gang. Lui vive in Italia dal 1997: «Ho sempre lavorato, colf, muratore e ora libero professionista con una piccola impresa edile. Ho altri due figli, un maschio e una femmina, più piccoli. Mai avuto problemi». Ahmed «è nato in Egitto ma è a Monza da quando ha 8 anni. Studia al quarto anno delle scuole superiori, all’istituto commerciale Caravaggio (scuola paritaria, ndr), mai avuto problemi». Poi la prima denuncia: «Il 4 luglio era con un gruppo di ragazzi che hanno alzato un po’ la voce, hanno parlato forte con altri ragazzi… ma nessuno si era fatto male. Però la polizia era uscita e gli ha fatto un verbale».

Lo spray al peperoncino

Il figlio aveva lo spray al peperoncino «per difendersi. Ma non l’ha mai usato». Quella notte non si è reso conto di nulla: «Il 29 ottobre la polizia è arrivata all’alba a casa nostra. Lui dormiva nella sua stanza e siamo andati a svegliarlo. Pensava si trattasse ancora della faccenda di luglio. E invece…». Riguardo l’aggressione, «pensava fosse una normale lite, anzi mi disse che quello che avevano incontrato era un bravo ragazzo, gentile. Gli avevano chiesto una sigaretta e lui gliela aveva data. Poi gli hanno chiesto di cambiare 50 euro. Non si ammazza qualcuno, nemmeno per un milione di euro».

L’inesperienza

Secondo il padre Ahmed ha fatto tutto «per inesperienza, ha compiuto 18 anni da due mesi. Gli si è bloccato il cervello». Lo accusano di aver fatto da palo. «Non è possibile, si vede dalle immagini. È sempre rimasto di fronte alla scena, un palo si sarebbe voltato a guardare che non arrivasse qualcuno. E poi un palo avrebbe senso se quello che è successo fosse stato organizzato. E invece nessuno conosceva la vittima».

Infine, la famiglia della vittima: «Mia moglie ed io vorremmo far qualcosa per loro, andarli a trovare: è una cosa che non si può immaginare, spero che quel povero ragazzo esca dall’ospedale, che possa riprendere la sua vita senza problemi. Non dormo da tre notti. Nessuno può accettare una cosa del genere per il proprio figlio. Sono musulmano e a mio figlio ho sempre insegnato a comportarsi bene, non beve, non fuma, ma se ha commesso uno sbaglio è giusto che si prenda le sue responsabilità».