OriHime-D, il cameriere robot guidato da persone disabili

Dal Giappone arriva OriHime-D, il primo robot cameriere che permette ai disabili di lavorare da remoto

Spesso i robot vengono visti come una minaccia per il mondo del lavoro. La robotica e l’automazione sono sempre più spesso citate come due delle principali cause di disoccupazione nella produzione industriale, anche se questo non è ancora stato dimostrato con dati reali concreti.


Questa idea sembra essere una visione eccessivamente pessimistica e non pienamente fondata, più dettata dalle scelte imprenditoriali che dal vero e proprio ricorso all’automazione nei processi produttivi industriali, come dimostrato nella ricerca condotta dal Centre for European Economic Research di Mannheim in Germania tra il 2011 e il 2016, che ha monitorato il rapporto tra utilizzo dei robot e livello di occupazione, e ha visto un aumento di quest’ultima tra l’1,5 e l’1,8%.


Dal Giappone arriva però un esempio virtuoso di utilizzo dei robot in ambito lavorativo, strettamente legato anche all’impegno etico e all’integrazione umana: è il caso della start-up Ory, specializzata in robotica per disabili. L’azienda ha infatti creato OriHime-D, un robot alto 120 centimetri che può essere comandato a distanza da persone paralizzate e costrette a letto, come nel caso di persone affette dalla SLA (sclerosi laterale amiotrofica) o altre patologie fortemente invalidanti.

Ciò è possibile grazie all’utilizzo di un sistema che riprende e interpreta i movimenti oculari della persona e permette loro di far muovere da remoto il robot, farlo parlare con le persone, gestire gli oggetti e interagire con l’ambiente circostante.

E’ quello che è avvenuto in un bar sito presso il Nippon Foundation Building di Akasaka a Tokyo e chiamato Dawn ver.β, dove la β indica proprio il senso di sperimentazione temporanea del progetto, durata circa un mese.

Il compenso per ciascun lavoratore è stato di 1.000 yen l’ora (circa 8 euro), che corrisponde al salario minimo orario per un lavoratore part-time in Giappone. Più del denaro è però importante evidenziare il fattore etico e umano: a differenza del passato, un paziente affetto da una patologia profondamente invalidante che porta a restare ai margini della società e della socialità, potrà tornare ad essere attivo e integrato e parzialmente autonomo.

Quest’idea servirà anche ad alleviare il profondo senso di colpa e di vergogna, nonché la sensazione di essere un peso che spesso affligge una persona invalida e non autosufficiente, specialmente nei confronti dei propri parenti e della società.

Questa prima esperienza potrebbe fare da apripista ad ulteriori sperimentazioni future non solo in Giappone, nella speranza che l’armonia tra robot e esseri umani possa nel tempo andarsi a consolidare in modo armonico, costruttivo e non ostile.