Extinction Rebellion: Il movimento ispirato a Gandhi si prepara a salvare l’Italia

«Non è bastata la ricerca, come non sono bastate le manifestazioni o le azioni individuali. Adesso è l’ora della disobbedienza civile di massa». L’intervista di Open a Marco B. di Extinction Rebellion Italia 

Irrompe sulla scena dei movimenti ambientalisti un nuovo fenomeno transnazionale: si chiama Extinction Rebellion e vuole far capire alle classi dirigenti che il tempo ormai è quasi scaduto. Per farlo, gli attivisti italiani si dicono pronti a mettere in pratica gli insegnamenti di Mahatma Gandhi: disobbedienza civile con lo scopo di paralizzare il sistema economico e costringere l’esecutivo a intraprendere azioni radicali. Per Marco B., 48 anni, ricercatore in ambito agroecologico e esponente del movimento, intervistato da Open, non si escludono occupazioni di centrali elettriche e altri atti eclatanti, rimanendo comunque fedeli alla strategia della non-violenza. Metodi nuovi, ma anche nuovi contenuti rispetto a movimenti già esistenti come 350.org, Divest o anche #Fridaysforfuture. Per dare l’allarme il movimento punta a enfatizzare il fatto che stiamo attraversando una nuova fase nella storia del mondo e dell’umanità: la sesta estinzione di massa.


La biodiversità del pianeta è sotto attacco e i dati sono preoccupanti: dal 1900 a oggi la popolazione di circa metà dei mammiferi terrestri si è ridotta dell’80%. La sparizione degli animali si ripercuoterà sulla catena alimentare, minacciando la sopravvivenza degli esseri umani . Da qui la necessità di ribellarsi, da cui il nome. Per adesso in Italia gli attivisti sono qualche migliaio, secondo Marco B. Non hanno un programma preciso, ma molti propositi generici e ambizione. Ma anche la storia dalla loro parte. Nelle prossime settimane sarà lanciato il movimento, poi il 15 aprile è previsto il primo giorno di «ribellione internazionale». Sempre che riescano a entusiasmare gli italiani che, come spiega Elisabetta Corrà, giornalista che segue da tempo il fenomeno dell’estinzione di massa, tradizionalmente hanno poca sensibilità per questi temi, anche «per il carattere corporativo della nostra società».


Quali sono le origini del vostro movimento?

«Extinction Rebellion nasce dal basso, come movimento cittadino in Gran Bretagna, da un’idea avuta nell’aprile del 2018. È stato sostenuto da accademici di spicco come Naomi Klein e George Monbiot solo in un secondo momento. Il primo rebellion day” ha avuto luogo il 17 novembre a Londra. Erano presenti rappresentanti di tutte le classi sociali e anche di alcune zone del pianeta da cui vengono le popolazioni più vulnerabili, come i nativi americani».

Cercherete il sostegno dei partiti politici?

«No, anche in Inghilterra il coinvolgimento dei Verdi non è avvenuto in quanto partito ma come singoli individui. Non vogliamo essere strumentalizzati, tanto più alla vigilia delle elezioni europee. Constatiamo il fallimento della democrazia rappresentativa e vogliamo creare strumenti di democrazia diretta, partecipativa: delle assemblee cittadine i cui rappresentanti saranno estratti a sorte, per esempio. Il problema intrinseco della democrazia rappresentativa è che spinge i governanti a mettere da parte qualsiasi tipo di ideale».

Cosa vi distingue dagli altri gruppi ambientalisti?

«Siamo in una situazione in cui rischiamo seriamente di estinguerci noi stessi come specie umana insieme alla maggior parte della vita sulla terra. È in corso la sesta estinzione di massa e nessuna delle nazioni che ha firmato accordi di Parigi è sulla buona strada per rispettarli. Ma anche se tutte le 196 nazioni rispettassero alla lettera gli accordi, si arriverebbe a un riscaldamento globale di 3,3 gradi, con conseguenze catastrofiche per il pianeta. Ci resta poco tempo per agire, ma agire non vuol dire cambiare le lampadine con quelle al led o mettere i pannelli solari. Il cambiamento necessario è quello radicale, profondo e sistemico del nostro modo di vita. Non vogliamo essere l’ennesima associazione. Noi consideriamo rotto il vincolo del contratto sociale: i governi non hanno rispettato il loro compito di proteggere la società. In Inghilterra i membri di Extinction Rebellion sono andati da Greenpeace e gli hanno detto “vi adoriamo ma unitevi a noi perché quello che state facendo non basta più”».

Di cosa c’è bisogno ora?

«Non è bastata la ricerca, come non sono bastate né le manifestazioni, né la azioni individuali. Tutte cose encomiabili e degne di lode, ma non sono bastate. Adesso è l’ora della disobbedienza civile di massa. Noi ci ispiriamo a Martin Luther King e Mahatma Gandhi. Entrambi hanno inscenato proteste non violente che hanno però hanno forzato il cambiamento».

Concretamente cosa pensate di fare?

«Ostacolare il business, creare un disturbo economico che costringa i governi a dire tutta la verità, a dichiarare un’emergenza climatica e ecologica in modo da mettere finalmente in atto delle politiche che possano portare le emissioni allo 0 netto entro il 2025».

Come siete organizzati?

«La base è a Londra. In Italia non abbiamo una dirigenza centrale, ma comitati in alcune delle città principali. Molto avviene su internet. Come diceva Gandhi, i mezzi per giungere al fine devono essere omogenei al fine perseguito. Quindi prendiamo decisioni in modo decentralizzato. Usiamo dei server che girano su geotermia, o comunque su risorse rinnovabili, perché la quantità di emissioni globali dei server è la stessa dell’aviazione internazionale. Facciamo anche molta attenzione alla sicurezza dei dati, i server sono in posti protetti che sfuggono al controllo poliziesco e militare».

Vi preparate ad essere invisi ai potenti?

«I nostri riferimenti sono Mahatma Gandhi e Martin Luther King: sono persone che hanno avuto problemi con chi era infastidito dalle loro azioni. Da un lato sono stato un po’ dispiaciuto nel constatare che l’aumento della tassa sul carburante, che è necessaria per uscire dal disastro verso cui stiamo andando, ha portato 170.000 persone a scendere in strada, mentre noi al primo rebellion day eravamo soltanto 6.000. Da un lato si potrebbe dire quindi che, in quanto a fini perseguiti, loro sono agli antipodi rispetto al nostro movimento. Però è anche vero che una società basata sulla mobilità in auto non può cambiare dall’oggi al domani, facendo pagare il cambiamento ai meno benestanti. Nelle manifestazioni dei Gilet gialli c’era uno striscione che diceva: “Fin du monde fin du mois, même coupable même combat [fine del mondo, fine del mese, stesso colpevole, stessa lotta]”. Alcuni di loro hanno capito che esiste un sistema globale che non solo distrugge l’ambiente ma aggrava le disuguaglianze economiche».

E adesso in Italia cosa farete?

«Il 16 e 17 febbraio ci sarà un evento formativo e organizzativo a Bologna. A marzo ci sarà poi un’azione simbolica, una dichiarazione di ribellione. Poi dal 15 aprile ci prepareremo per portare la protesta in strada: è la nostra giornata internazionale della ribellione».

Sullo stesso tema: