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Che fine hanno fatto i migranti dell’altra Sea Watch? La chiesa valdese: «Non sappiamo nulla»

01 Febbraio 2019 - 19:05 Angela Gennaro
Così la Tavola Valdese ha commentato la situazione dei migranti che dovrebbero essere accolti in Italia dopo lo sbarco a Malta del 9 gennaio scorso. Fonti del Viminale confermano: nessun contatto ancora attivato per la redistribuzione

Sono passate tre settimane dal primo caso Sea Watch (e Sea Eye): 47 persone salvate dalle navi delle due ong e sbarcate a Malta dopo giorni di negoziazione. Alcune di loro – quelle salvate dalla Sea Watch 3 – erano rimaste a bordo, nel limbo, 19 giorni prima di toccare nuovamente terra il 9 gennaio scorso. Dall’impasse si era usciti anche allora con un accordo di redistribuzione delle persone tra otto Paesi: Germania, Francia, Portogallo, Irlanda, Romania, Lussemburgo, Paesi Bassi e Italia.

Com’è andata a finire?

L’accordo prevede che la quota di migranti accettata dall’Italia sia affidata alla Chiesa Valdese. Che però, a oggi, non sa ancora quando arriveranno. E neppure in quanti. «Non sappiamo ancora se saranno 10 o 15» , spiega a Open il moderatore della Tavola Valdese Eugenio Bernardini. «Abbiamo avuto un unico contatto con le autorità maltesi il 18 gennaio scorso. Un contatto breve, volevano solo sapere a chi avrebbero dovuto fare riferimento e se fossimo pronti. Poi più nulla».

I migranti che arriveranno in Italia da quella “tornata”, dicono fonti del Viminale, saranno 15. Ma il nostro Paese ancora non ha preso alcun contatto con Malta, confermano. Né si sa quando accadrà. Perché? La domanda resta senza risposta. «Da alcune notizie da Malta sembra che alcune tra quelle persone siano già stati ricollocate verso altri Paesi che avevano aderito a quella negoziazione», dice Bernardini. «Ma non verso l’Italia e la Romania».

«Non sappiamo molto», conferma a Open Katrine Camilleri, direttrice del Jesuit Refugee Service di Malta. Il Jrs è un’associazione che si occupa dei diritti dei richiedenti asilo e lavora da tempo proprio nel reception center della Marsa: si tratta del centro dove vengono ospitati in prima istanza – per un tempo indefinito – i migranti che sbarcano alla Valletta. Qui restano in attesa di conoscere il loro (eventuale) Paese di destinazione. Del gruppo del 9 gennaio «sappiamo che le delegazioni di alcuni Paesi – Germania, Portogallo e Olanda – hanno preso un primo contatto e sono effettivamente venute alla Marsa. Hanno effettuato le interviste ai migranti per poi ricollocarli nei rispettivi Paesi». Nei prossimi giorni «dovrebbero già partire alcune persone per l’Olanda, che sembra essere l’unico paese che è andato un po’ più avanti nel processo», spiega ancora Katrine.

Abbiamo provato, senza successo, a contattare il governo maltese. La portavoce degli affari interni e la sicurezza nazionale di Malta, Stacey Spiteri, ha detto alla redazione di Tagadà, La7, che sette Paesi si sono messi in contatto con La Valletta, e alcuni hanno già preso in carico le persone. «Solo l’Italia non si è mai fatta sentire» in merito al destino dei migranti sbarcati dalla precedente missione della Sea Watch 3. Malta «spera che non si tratti di una decisione politica ma di un problema tecnico delle autorità italiane».

Il ricollocamento resta negli interessi del governo maltese, e le sue lungaggini e incertezze giustificano, dal punto di vista delle autorità dell’isola, la resistenza a nuovi sbarchi. «Poi il destino di queste persone si perde nei rivoli della democrazia, e non è detto che i Paesi facciano quanto dichiarato», dice ancora Katrine. Il che, «naturalmente provoca anche delle aspettative disattese nelle persone salvate, con frustrazione, incertezza e traumi psicologici: incertezza prima su quando, dove e se sarebbero state sbarcate. Incertezza ora su dove e quando – e se – verrano ricollocate».

Accade anche, ed è successo più volte nel tempo, «che nessuno venga a prendersele», quelle persone. In quel caso? «Restano a Malta ed è qui che inoltrano la loro richiesta di asilo», conclude la direttrice del Jrs. «E anche da noi i tempi di elaborazione delle richieste sono spesso molto lunghi: arrivano anche a tre anni». «Non sappiano se questa incertezza sui migranti che dovremmo ospitare dipenda dal fatto che manchino gli accordi o se ci sono altre questioni», dice ancora Bernardini.

«Noi siamo pronti. Certo, sarebbe importante conoscere il numero e la tipologia di migranti, perché abbiamo scelto un sistema di accoglienza diffusa, adattata anche alle persone per facilitarne l’integrazione e rispondere al meglio a eventuali problemi linguistici o sanitari». Dalle autorità italiane «non abbiamo ricevuto informazioni: immaginiamo che non sia ancora arrivato il momento. Forse non c’è un raccordo tra autorità maltesi e italiane. Presumiamo che, quando ci sarà, verremo contattati dall’ufficio immigrazione del ministero degli Interni».

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