Venezuela, Guaidó non esclude l’intervento militare degli Stati Uniti: «Faremo il necessario»

Secondo Maduro, i convogli internazionali con cibo e medicine, bloccati al confine, «sono una trappola avvelenata degli Stati Uniti». Intanto Guaidó, in un’intervista alla «Afp», non ha escluso la possibilità di una sua richiesta di intervento armato per risolvere la crisi istituzionale nel Paese

Non si è ancora trovata una soluzione per il Venezuela. Gli aiuti umanitari hanno raggiunto Cucuta, città colombiana di frontiera, ma l’esercito di Nicolás Maduro non consente l’ingresso di alimenti e medicine nel suo Paese. Anche il documento del Gruppo di contatto voluto da Federica Mogherini, alto rappresentate Ue per gli Esteri, è stato rigettato. Uno dei due tribunali supremi di giustizia venezuelani, quello con sede a Caracas, ha dichiarato che Juan Guaidó ha commesso«un’usurpazione per avere preteso di esercitare funzioni inerenti alla Presidenza della Repubblica», L’altro tribunale supremo, autoesiliatosi a Washington, chiede l’intervento della comunità internazionale. E martedì 12 febbraio Guaidó ha invocato nuova giornata di manifestazioni a Caracas e in tutto il Venezuela. Lo stesso Guaidó, in un’intervista alla Afp, non ha voluto escludere la possibilità di una sua richiesta di intervento armato per risolvere la crisi istituzionale. Interrogato sulla possibilità che, in quanto presidente ad interim, autorizzasse un intervento militare statunitense, ha risposto: «Noi faremo tutto il possibile per evitarlo. Ma facendo uso della nostra sovranità, nell’esercizio delle nostre competenze, faremo il necessario»


Intanto, l’ambasciatore Usa in Colombia, Kevin Whitaker, ha lanciato un appello pubblico ai militari venezuelani affinché acconsentano all’ingresso degli aiuti umanitari attraverso il confine. Già dal 7 febbraio nei pressi della frontiera tra Colombia e Venezuela si sono radunati i primi camion americani con scorte di cibo e medicine. Anche Guaidó ha chiesto alle forze armate di «permettere ai venezuelani di ricevere». Ma Maduroha intimato ai suoi uomini di non far passare i convogli:«Gli aiuti sono uno show, una trappola avvelenata degli imperi del Nord. In Venezuela non c’è nessuna crisi umanitaria». Il Gruppo di contatto che ha visto alcuni Paesi europei riunti a Montevideo, Uruguay, per stilare insieme a Bolivia, Costa Rica, Ecuador e Uruguay un documento che tracci una linea comune per uscire dallo stallo.«Una soluzione della crisi politica dev’essere democratica e controllata dal popolo venezuelano. Deve escludere l’uso della forza e deve avvenire attraverso nuove elezioni presidenziali libere, trasparenti e credibili, in accordo con la Costituzione venezuelana».


Maduro si è sempre detto contrario a questa richiesta, tra l’altro la stessa che l’opposizione capeggiata da Guaidó propone. «Federica Mogherini è destinata al fallimento se continua ad ascoltare la destra venezuelana – ha detto il delfino di Chavez – ma riceverò comunque qualsiasi inviato del Gruppo che vorrà incontrarmi». Intanto il presidente della Sala costituzionale del Tribunale supremo di Caracas, Juan José Mendoza, ha letto una sentenza emanata l’8 febbraio: «Gli atti di forza dell’Assemblea nazionale costituiscono una grottesca deformazione dell’organizzazione dei poteri in Venezuela. Sono atti destabilizzanti contro gli organi dello Stato, un vero e proprio assalto lanciato con una grossolana ignoranza delle norme che reggono i poteri pubblici, incorrendo in una chiara usurpazione di funzioni – ha detto, prima di definire – Juan Guaidó un usurpatore per aver preteso di esercitare funzioni inerenti alla Presidenza della Repubblica».

Ma la risposta del presidente dell’Assembla nazionale, Juan Guaidó, è arrivata attraverso un appello rivolto direttamente alla popolazione:«Continueremo fino a raggiungere il nostro obiettivo».Guaidó ha fissato l’appuntamento per le 10:00 ora locale di martedì 12 febbraio:«Tutto il Venezuela torni per le strade, in ogni angolo del Paese per pretendere la fine dell’usurpazione di Maduro e l’ingresso degli aiuti umanitari».