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Terra piatta: il fallimento di YouTube nella lotta alla disinformazione

21 Febbraio 2019 - 12:13 Juanne Pili
Il proliferare di canali e video sulla teoria della Terra piatta dovrebbe preoccuparci. Il successo di questi contenuti è la cifra di quanto YouTube, e i social media in generale, siano tutt'oggi incapaci di tutelare i contenuti di qualità, avvantaggiando con suggerimenti di ricerca chi produce disinformazione

YouTube ha un problema: la colonna dei video suggeriti agli utenti. Basta vedere il modo in cui – assieme a Facebook – rimane quasi impotente davanti alla proliferazione di contenuti contro i vaccini, mentre l’attività di debunking ne risulta totalmente scoraggiata, finendo nello stesso calderone dei contenuti penalizzati dalla monetizzazione dei video, proprio per le parole chiave in comune con chi fa disinformazione.

La situazione dal punto di vista della divulgazione su YouTube è a suo modo altrettanto preoccupante. Lo suggerisce una ricerca sui video che diffondono teorie terrapiattiste. Si tratta più che altro di una intervista fatta dai ricercatori della Texas Tech University a trenta «appassionati» presenti alla conferenza annuale dei «Flat Earthers» tenutasi a Denver, in Colorado, nel 2018. Dovremmo prendere sul serio questo fenomeno? Sì, perché è come un termometro, la punta dell'iceberg che rappresenta il dilagare di tesi ben più preoccupanti, con danni annessi all'educazione degli utenti e allo sviluppo di un senso critico, che non piace a chi preferirebbe un'opinione pubblica più malleabile.

Se gli stessi sistemi di controllo sono complici

C’è tutto un capitolo che riguarda la ricerca, da parte dii pedofili, di video prodotti dai minori, che di fatto sono agevolati dagli algoritmi: nella colonna dei video suggeriti ce ne saranno altri simili a quelli già cercati. Il risultato è che quando YouTube si decide a «fare pulizia» eliminando i contenuti con parola chiave «cp» (child pornography), in mezzo finiscono anche ignari youtuber che monetizzano con altri video «cp» (combat point), terminologia usata nei video sui Pokémon.

L'inefficienza degli algoritmi fa inconsapevolmente leva sulla diseducazione degli utenti ad un autentico pensiero critico. Nella ricerca sui terrapiattisti, a eccezione di un solo intervistato, tutti non prendevano in considerazione la teoria della Terra piatta fino a due anni prima. Erano accomunati dal credere in altre tesi cospirazioniste: da quelle sull’11 settembre al negazionismo degli allunaggi, fino alle varie dietrologie riguardanti le stragi scolastiche in America. Inizialmente si sono avvicinati a questo genere di contenuti su YouTube con l’intenzione di confutarli, ma sarebbero stati «conquistati» dalle argomentazioni presentate.

Il debunking su YouTube fatica a crescere

Il coordinatore della ricerca Asheley Landrum ha presentato i risultati alla conferenza annuale della American Association for the Advancement of Science a Washington Dc. Secondo Landrum ciò che accomuna il terrapiattismo alle altre tesi complottiste è il contorno fatto di sfiducia verso le istituzioni. Viene messa quindi a nudo la carenza su YouTube di contenuti che affrontino il problema.

Sono pochi quelli che fanno debunking sulle tesi cospirazioniste sulla piattaforma, anche perché i meccanismi già citati ne scoraggiano la produzione. Ci sono rari esempi virtuosi, come Myles Power. La situazione italiana invece è fatta di piccoli canali che non riescono a ottenere un seguito paragonabile a quello di chi produce contenuti cospirazionisti: il canale di Butac (Bufale un tanto al chilo) conta oggi poco più di tremila iscritti; quello di Dino Tinelli, ricco di contenuti terrapiattisti, ha superato i 32 mila.

In generale prevale la convinzione che basti fare una divulgazione «classica», educando gli utenti al ragionamento corretto, ma spesso chi crede nelle tesi di complotto guarda anche video divulgativi di qualità, non riuscendo a distinguere la divulgazione scientifica vera e propria da quella studiata per raccogliere visualizzazioni facili.

Ad aggravare la situazione vi è anche la proliferazione di bot e troll col preciso interesse a usare le cerchie cospirazioniste per alimentare la polarizzazione politica, fenomeno ben visibile su Twitter. Infine, in certi frangenti, chi fa debunking, viene percepito come produttore di bufale a sua volta, alimentando ulteriormente la confusione.

La disinformazione è un'arma

La disinformazione non può essere ignorata, si tratta di un’arma, come spiega il debunker Mauro Voerzio di StopFake, quando dice che il fenomeno delle «fake news», termine sul quale dovremmo stare molto attenti, perché riguarda le situazioni in cui interessi politici e ingerenze straniere si avvalgono di strutture organizzate per produrre notizie false, facendo leva su un pubblico già ampiamente diseducato al senso critico e al ragionamento scientifico. In questo senso le tesi di complotto, come quella terrapiattista, possono fungere da inconsapevole apripista.

Una disinformazione multicanale, ripetitiva e che ottiene endorsment da personaggi noti, produce cittadini privi di senso critico, facilmente manipolabili da interessi ben più seri della credenza a tesi eccentriche. Una difesa importante sarebbe incentivare l’informazione di qualità, ma resterà un'impresa difficile se questa è continuamente scoraggiata dalle stesse piattaforme che dovrebbero garantirla.

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