Quei campi di rieducazione per musulmani in Cina: un milione di uiguri torturati lungo la via della Seta

Circa 8 milioni di uiguri vivono nella provincia autonoma dello Xinjiang, la regione più a ovest della Cina. Da anni la popolazione turcofona di religione musulmana è sottoposta a una pesante repressione da parte del governo di Pechino

Dopo la visita in Italia del presidente cinese Xi Jinping e l’accordo della Belt and Road – osannato dal Movimento 5 Stelle e criticato dalla Lega – pesa nel dibattito sul rapporto con la Cina l’assenza di un capitolo fondamentale: quello dei diritti umani. Dietro al grande progetto infrastrutturale cinese della Via della Seta, a cui l’Italia ha dato il suo benestare, si nascondono gravi violazioni dei diritti umani. Un record di torture e rastrellamenti verso milioni di persone: gli uiguri. La minoranza cinese, che vive nella provincia autonoma dello Xinjiang, è stata negli ultimi anni sottoposta a una massiccia repressione dall’alto con la costruzione di campi di “rieducazione” dove, secondo le stime dell’Onu, sarebbero stati internati dal 2017 circa 2 milioni di persone.


Gli uiguri e la questione del Turkestanorientale

Nello Xinjiang, la provincia più a ovest della Cina, vivono circa 11 milioni di persone di religione musulmana, di cui 8,6 milioni di etnia uigura, una popolazione turcofona dell’Asia centrale. È solo nel 1911 che lo Xinjiang, allora Turkestan dell’Est, finisce sotto il controllo del governo cinese. Dopo alcuneesperienze di autonomia governativa,nel 1949 viene creato uno Stato del Turkestan orientale. Avrà vita breve perché, nello stesso anno, lo Xinjiang diventa ufficialmente parte della Cina comunista. La regione dello Xinjiang è di fondamentale importanza per Pechino data la sua posizione strategica al confine con otto Paesi: Mongolia, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Afghanistan, Pakistan e India. La maggior parte degli uiguri sono musulmani, la loro lingua è legata al turco e si considerano culturalmente vicini alle nazioni dell’Asia centrale. Dagli anni ’50è iniziato per mano del governo cineseun lento processo un processo di assimilazione culturale. Gli uiguri non si sono maiconsideraticinesie hanno sempre mantenuto i legamicon le lororadici etnico-culturali.


La repressione e i campi di rieducazione

Non c’è una sola ragione per la repressione portata avanti dalla Cina. La situazione è peggiorata nel 2009, dopo la risposta violenta della polizia alle rivolte nello Xinjiang. Solo qui sono morte 200 persone. Questo evento ha portato a un aumento degli attacchi condotti da estremisti islamici uiguri. Pechino, quindi, ha giustificato le sue rappresaglie e il suo controllo sempre più stretto del territorio in nome della lotta al terrorismo. Il governo centrale cinese ha portato avanti programmi di assimilazione culturale sempre più aggressivi nei confronti della minoranza uigura, tanto da arrivare alla costruzione di campi di rieducazione o di “deradicalizzazione”. Dal 2016 Pechino avrebbe sistematicamente internato milioni di uiguri in un tentativo di imporre con la forza un’identità pan-cinese, attraverso un’educazione forzata della lingua mandarina e della cultura cinese. Gli sforzi di Pechino sono stati diretti soprattutto verso una repressione brutale della religione islamica.

Torture, rastrellamenti, scomparse e esecuzioni accompagnano da anni la vita quotidiana della minoranza uigura. Uno Stato nello Stato controllato 24 ore al giorno. La persecuzione testimoniata anche dai racconti e dalle ricerche delle organizzazioni per i diritti umani che hanno denunciato il traffico illegale di organi prelevati dai musulmani uiguri nei campi di rieducazione, spesso su soggetti ancora vivi. Le tensioni etniche tra la minoranza uigura e gli han, l’etnia più diffusa in Cina, sono state accentuate da un mercato del lavoro in cui gli uguri sono largamente discriminati, vivono in condizioni di povertà, hanno salari più bassi e vengono penalizzati nella scalata sociale e nelle opportunità educative.

Lo Xinjiang e la Via della Seta

Pechino ha compiuto ulteriori sforzi per assicurarsi che i Paesi coinvolti nella Belt and Road Iniziative(BRI) non parlassero dello Xinjiang. La regione è infatti un crocevia strategico per il progetto da un trilione di dollari della Cina. Nei deserti, una volta attraversati dalle carovane della Via della Seta, le strade sono ora la via privilegiata per la produzione e il trasporto di petrolio, carbone e gas naturale. Per proteggere il fiore all’occhiello dell’amministrazione di Xi Jinping, dallo scorso dicembre le autorità cinesi hanno invitato dozzine di giornalisti e diplomatici di almeno 16 Paesi – molti dei quali, come il Kazakistan, il Tagikistan e il Pakistan, tutti partecipanti alla BRI – a un tour altamente controllato nei campi di rieducazione dello Xinjiang, Queste strutture per l’occasione sono stati definiti luoghi di “formazione professionale gratuita” che rendono la vita “colorata”. Negli ultimi anni anche le Nazioni Unite hanno rivelato di avere prove sufficienti sulla presenza di questi campi e sulla prigionia dimilioni di persone.