«La Chiesa deve pagare l’Ici». Le pressioni della Ue sull’Italia

Mentre Roma ribadisce l’impossibilità di quantificare con esattezza le attività degli immobili tra il 2006 e il 2011, l’Antitrust europeo propone tre vie per quantificare la somma da recuperare

A novembre la Corte di giustizia dell’Unione Europea aveva stabilito che il governo italiano dovesse recuperare l’imposta sugli immobili (ICI) non versata dalla Chiesa cattolica tra il 2006 e il 2011, una somma stimata tra i 4 e i 5 miliardi di euro.


Dopo cinque mesi il recupero non è ancora avvenuto ma, secondo un’indiscrezione del Sole 24 Ore, l’Antitrust Ue – l’organo che si occupa di controllare il rispetto della normativa sulla concorrenza – è tornata alla carica. Bruxelles avrebbe individuato tre strade alternative per individuare «gli aiuti illegali e incompatibili che vanno recuperati».


Secondo il Governo italiano, verificare come sono stati utilizzati gli immobili nel periodo tra il 2006 e il 2011 è impossibile. E le norme non aiutano a fare chiarezza. Nel 2012 il governo Monti introdusse delle nuove regole sul pagamento dell’IMU, con cui aveva stabilito che gli immobili destinati allo svolgimento di attività non commerciali potessero beneficiare dell’esenzione dell’ICI.

Una norma precedente, introdotta col Decreto Legge n. 201 del 2011, prevede però che per gli immobili a uso promiscuo – commerciale e no – l’esenzione dell’ICI vada applicata «solo alla frazione di unità immobiliare in cui si svolge l’attività di natura non commerciale». Ora il problema è capire quali attività siano commerciali e quali no.

Fino al 2011 l’esenzione veniva applicata in maniera indifferenziata e generalizzata, quindi bastava che una parte dell’immobile fosse di natura non commerciale per salvarlo dall’applicazione della tassa.

Un principio bocciato dalla Commissione che l’aveva definito come un aiuto di Stato, in quanto alleggeriva il peso fiscale a discapito di enti concorrenti. La Commissione aveva deciso di lasciar perdere gli arretrati, ma su questa decisione è intervenuto l’organo giuridico dell’Ue che ha bocciato questa decisione.

La nuova richiesta di Bruxelles è che vengano trovate modalità alternative per quantificare le somme da recuperare. La commissione indica tre strade: usare le dichiarazioni sull’utilizzo degli spazi presentate dagli enti non profit con la riforma del 2012; imporre agli enti un obbligo di autocertificazione; oppure prevedere un sistema di «controlli in loco tramite gli organi ispettivi».

Ma, nonostante le linee guida, il ministro dell’Economia sostiene che sia impossibile quantificare in maniera corretta l’aiuto di Stato da recuperare. Ora potrebbero intervenire i Comuni, su richiesta dell’Ue, in quanto sono loro a incassare l’imposta.

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