Venezuela, manifestazioni pro e contro il governo: due morti

Proteste pro e contro il governo durante la festa dei lavoratori. Dopo un 24enne, un’altra donna è rimasta uccisa durante le manifestazioni a causa di un proiettile vagante. Guaidó annuncia un programma di scioperi dell’amministrazione pubblica, mentre Maduro punta su una giornata di dialogo

Non si ferma il caos in Venezuela dove continua il braccio di ferro tra Nicolas Maduro e Juan Guaidó. Durante le proteste in strada del primo maggio una donna è rimasta uccisa a causa di un proiettile vagante. Lo ha reso noto un’organizzazione non governativa. Due imponenti manifestazioni, a favore e contro il governo chavista, si sono svolte nella giornata della festa dei lavoratori, in cui il leader dell’opposizione ha incitato la folla al grido di «sì si può!». Juan Guaidó non molla e rilancia la sfida a Maduro. Per il 2 maggio l’autoproclamatosi presidente ad interim ha reso noto che inizierà un programma di scioperi scaglionati nell’amministrazione pubblica, fino a far sì che tutti i settori si uniscano in uno sciopero generale. In un tentativo di riguadagnare il sostegno della popolazione, il presidente venezuelano ha invece annunciato una “giornata di dialogo” da tenersi nel fine settimana per rimediare ad alcuni degli errori commessi dal suo governo «dalla rivoluzione»e per discutere delle sanzioni imposte dagli Usa. Lo ha detto rivolgendosi alla folla accusando Juan Guaidó, di cercare la guerra civile nel Paese e di aver mentito agli Usa raccontando loro che il presidente aveva perso il sostegno dell’esercito e che stava stava per scappare a Cuba.


«Parteciperemo ad una grande giornata di cambiamento, di rettifica, di rinnovo della rivoluzione – ha dichiarato Maduro – conto su di voi». Il presidente ha dunque detto che se Guaidó, «autoproclamatosi capo dello Stato ad interim punta alla presidenza, l’unica cosa che deve fare è vincere le elezioni». Dopo una giornata passata in silenzio, alle 21 di sera del 30 aprile – le tre di mattino italiane – Nicolas Maduro ha dichiarato ufficialmente «fallito il golpe delle forze imperialiste», ingiuriando contro chi si augurava un intervento americano. In un’intervista all’emittente americano Fox News,il segretario di Stato Usa Mike Pompeo ha dichiarato che il presidente Usa Donald Trump sarebbe pronto ad intervenire militarmente nel paese sudamericano«se ritenuto necessario».


Pronta la replica del ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov: «L’ingerenza Usa negli affari interni del Venezuela è una violazione del diritto internazionale».Secondo le agenzie russe Interfax e Tass, Lavrov avrebbe avvertito Pompeo che ulteriori passi di Washington nel Paese latinoamericano potrebbero comportare «conseguenze gravi». Nel frattempo il leader dell’opposizione, appoggiato dagli Stati Uniti, Juan Guaidó, su Twitter ha annunciato un’altra giornata di proteste, contraddicendo quindi quanto sostenuto da Maduro, ovvero che la ribellione fosse stata neutralizzata.

Una ribellione il cui bilancio continua ad aggravarsi. Nello Stato venezuelano di Aragua, un 24enne sarebbe morto nel corso delle proteste. Nella rivolta sarebbero rimaste ferite per il momento 95 persone. Le tensioni in Venezuela, iniziate il 23 gennaio scorso con l’autoproclamazione di Guaidó come presidente ad interim, sono tutt’altro che giunte al termine. Il leader dell’opposizione aveva incoraggiato i manifestanti antigovernativi, che ritengono illegittima l’attuale presidenza, a tornare in piazza il primo maggio, per lanciare l’assalto finale«al regime di Maduro». «Tutti instrada», aveva twittato il leader dell’opposizione.

Il 1 maggio

Anche in Venezuela, nonostante le manifestazioni antigovernative, si celebra la festa internazionale dei lavoratori. Un’altra occasione per Nicolas Maduro per dimostrare che il popolo venezuelano starebbe dalla sua parte. «Oggi la classe operaia venezuelana – ha scritto Maduro su Twitter – si mobilita in tutto il Paese per celebrare e difendere le sue conquiste, con una grande marcia che dirà NO ai colpi di stato e No alle interferenze Yankee. Nervi di ferro, calma e ragionevolezza! Vita lunga ai lavoratori e alla patria!». Augurio sintetico da parte di Guaidó che ha promesso che la dignità e i diritti dei lavoratori verranno rispettati. Il leader dell’opposizione ha salutato i lavoratori così:«Ci vediamo in strada».

Gli scontri

Il 30 aprile nel Paese sudamericano si è raggiunto l’apice della tensione.Blindati dell’esercito venezuelano hanno investito i dimostranti antigovernativi a Caracas. Uno dei blindati ha sparato con il cannone ad acqua, circondato dalla folla, ed è avanzato investendo almeno un dimostrante. Un altro blindato ha fatto la stessa cosa poco distante. Il centro sanitario Salud Chacao ha reso noto via Twitter che «l’attività repressiva delle manifestazioni che sono in corso nella capitale ha per il momento un bilancio di 59 feriti». La onlus Foro Penal, invece,ha comunicato che oggi «sono state arrestate almeno undici persone». «Voglio congratularmi le nostre forze armate per l’atteggiamento fermo, leale, valoroso e di enorme saggezza con cui avete sconfitto il golpe che ha cercato di riempire il Venezuela con la violenza». Con queste parole Nicolás Maduro ha commentato la giornata di forti scontri avvenuti il 30 aprile a Caracas, tra le forze militari governative fedeli a Maduro e i sostenitori di Juan Guaidó: secondo la Ong Foro penal, 119 persone sono state arrestate, tra queste ci sono 11 adolescenti.

Una giornata di tensioni

Dopo l’appello ai militari aunirsi a lui dalla base aerea di La Carlota, Juan Guaidó è tornato in strada e ha raggiunto i suoi sostenitori in Plaza de Altamira a Caracas. Nel primo pomeriggio. Intanto le dirette della Cnn e della Bbc sono state oscurate in Venezuela: lo riferiscono gli attivisti anti-governativi. «Abbiamo parlato con i nostri alleati nella comunità internazionale e abbiamo il loro forte sostegno per questo irreversibile processo di cambiamento nel nostro Paese. L’Operazione Libertà è iniziata e resisteremo fino a raggiungere un Venezuela libero», ha scritto il leader dell’opposizione a Maduro su Twitter. I militari che hanno deciso di passare dalla parte di Juan Guaidó per distinguersi dai soldati ancora fedeli a Nicolas Maduro indossano una fascia blu elettrico sul viso o attorno al braccio.

«La striscia di stoffa serve per identificare i venezuelani, con o senza uniforme, che si sono mobilitati per mettere fine all’usurpazione», ha dichiarato l’ambasciatore di Guaidó negli Stati Uniti,Carlos Vecchio. Intanto alcuni attivisti hanno denunciato che gli accessi ad internet sono rallentati e, in alcuni casi, bloccati:«La compagnia statale venezuelana di internet Aba Cantv ha limitato l’accesso a servizi YouTube e Google, dopo aver precedentemente limitato Twitter, Facebook e molti altri servizi», ha scritto in una nota Netblocks, associazione che si occupa di monitorare l’accesso globale alle rete.

La contromanifestazione di Maduro

Nicolas Maduro intanto sta cercando di invocare una contro manifestazione popolare. Alle notizie che si stanno diffondendo sulle defezioni di alcuni militari, l’attuale presidente del Venezuela ha risposto con un tweet: «Tutti i comandanti militari del Paese mi hanno espresso la loro totale lealtà. Adesso chiedo la massima mobilitazione popolare per assicurare la vittoria della pace. Vinceremo».

La liberazione di Lopez

Leopoldo Lopez, uno dei leader dell’opposizione del Venezuela contro il presidente Nicolas Maduro, è stato liberato in circostanze misteriose dai militari che hanno deciso di schierarsi al fianco dell’autoproclamato presidente ad interim, su ordine dello stesso Guaidó. L’uomo si trovava agli arresti domiciliari dopo esser stato condannato a 13 anni e 9 mesi nel 2015 con le accuse di associazione a delinquere, incendio, danni alla proprietà pubblica e istigazione alla violenza di piazza. Lopez è apparso in un video pubblicato su Twitter da Juan Guaidó: i due sono circondati da militari. Dopo essere stato ospitato nell’ambasciata del Cile, Lopez è stato trasferito in quella della Spagna.

L’offensiva di Guaidó

L’autoproclamato presidente Guaidó, riconosciuto anche da una cinquantina di Paesi esteri, ha annunciato l’inizio della “fase finale” dell’operazione per liberare il Venezuela «dall’usurpazione del Paese»protratta dal presidente Nicolas Maduro, in quella che viene definita «operazione libertà».

Il governo Maduro: «Tentativo di golpe»

«Informiamo il popolo del Venezuela che in questo momento ci stiamo scontrando e stiamo neutralizzando un piccolo gruppo di militari traditori»,scrive sul proprio account Twitter Jorge Rodriguez, portavoce del governo maduriano. I venezuelani sarebbero stati invitati a recarsi intorno alla sede del Governo per proteggerlo. Rodriguez ha poi aggiunto che gli uomini di Lopez e di Guaidó stanno tentando di «promuovere un colpo di stato contro la Costituzione e la pace della Repubblica».

Il luogo da dove è partito il golpe

I militari si sarebbero trovati vicino alla base militare La Carlota, sul cavalcavia Altamira, un punto strategico per raggiungere la sede della presidenza del Venezuela, situata nel Palacio di Miraflores. Intanto risultano essere rallentati gli strumenti di comunicazione digitale e la rete internet.

Le reazioni internazionali

Tra i primi Stati a riconoscere Juan Guaidó come presidente ad interim c’è la Spagna che fa però sapere che non sosterrà nessun colpo di Stato in Venezuela. La portavoce del presidente Pedro Sanchez, Isabel Celaa, ha riferito infatti che «la Spagna sosterrà un processo democratico pacifico, evitando uno spargimento di sangue, mediante l’immediata convocazione delle elezioni». Mentre Cuba condanna il “tentativo golpista”, l’appoggio più pesante a Guaidó arriva dal segretario di Stato statunitense, Mike Pompeo:«La democrazia non puo’ essere sconfitta», ha twittato durante i disordini. Anche il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Bolton, ha scritto sul social: «L’esercito deve proteggere la costituzione e il popolo. Deve stare dalla parte dell’assemblea nazionale e delle legittime istituzioni contro chi usurpa la democrazia». Intanto il Dipartimento di Stato ha lanciato un appello ai suoi cittadini: «Lasciate subito il Paese».

«Siamo con voi, siamo con la gente scesa in strada per la libertà», ha detto il vicepresidente americano, Mike Pence, confermando il sostegno dell’amministrazione Trump a Juan Guaidó. La Russia, che in Venezuela ha dei suoi militari, ha smentito un possibile coinvolgimento dei suoi uomini:«Non sono il tipo di militari che conducono azioni di combattimento – dicono dall’ambasciata russa a Caracas -ma forniscono assistenza al Venezuela nella cooperazione tecnico-militare tra i due Paesi, che include l’addestramento e le operazioni di mantenimento».

In Italia

Una nota della Farnesina rassicura riguardo la situazione degli italiani in Venezuela. Il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi fa sapere di essere in costante contatto con l’ambasciatore italiano a Caracas. E se il Movimento 5 Stelle prende tempo sulla fase di transizione, il ministro dell’Interno Matteo Salvini preme per l’allontanamento di Maduro. «Per il bene del popolo venezuelano e dei tantissimi italiani che da anni soffrono per colpa di uno degli ultimi regimi comunisti sulla faccia della terra ci auguriamo una soluzione pacifica e non violenta della crisi che porti a libere elezioni e all’allontanamento del dittatore Maduro che sta affamando, incarcerando e torturando il suo popolo. Sono vicino al popolo venezuelano, all’assemblea nazionale e al suo presidente Guaidó​​​​​», ha detto Salvini.

I mercenari

Erik Prince, fondatore della Blackwater, compagnia militare privata statunitense,ha predisposto un piano per schierare 5.000 mercenari a fianco di Juan Guaidó. A riverarlo in esclusiva Reuters. Prince da tempo sta cercando investitori e sostegno politico tra i supporter di Trump e tra i venezuelani in esilio.

Il Gruppo di Lima

Alle 21:30 ore italiane, i ministri degli esteri del Gruppo di Lima, l’organismo che riunisce 14 Paesi del continente americano e nato l’8 agosto 2017 per risolvere la crisi venezuelana, si riuniranno in teleconferenza. La riunione è stata convocata d’urgenza dal presidente della Colombia, Ivan Duque.

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