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Scoperti 18 nuovi esopianeti. Hanno dimensioni simili a quelle della Terra

26 Maggio 2019 - 14:05 Juanne Pili
La famiglia degli esopianeti rocciosi si allarga, aprendoci a nuove prospettive - foto1
La famiglia degli esopianeti rocciosi si allarga, aprendoci a nuove prospettive - foto1
Trovati 18 nuovi pianeti di dimensioni terrestri, fino a poco tempo fa non saremmo stati in grado di vederli

Un nuovo esame dei dati raccolti dal telescopio spaziale Kepler della Nasa, ormai fuori servizio dall’ottobre 2018 dopo nove anni di onorata carriera, ha svelato agli astronomi altri 18 pianeti dalle dimensioni paragonabili al nostro. Uno di questi potrebbe essere «abitabile». 

Tra loro hanno taglie piuttosto diverse. Il più grande è il doppio rispetto alla Terra, quello più piccolo si avvicina alle nostre dimensioni planetarie del 69%. Le loro dimensioni relativamente ridotte li hanno resi meno visibili nello spazio, ragione per cui ce ne siamo accorti solo recentemente.

Metà degli esopianeti esistenti potrebbe somigliare alla Terra, o a Marte

Oggi la lista degli esopianeti – grazie anche al lavoro di Kepler – ammonta a 3970. Buona parte di questi sono giganteschi, paragonabili ai nostri Giove, Saturno e Nettuno. Insomma si ritiene che siano dei pianeti gassosi.

Se usiamo il nostro Sistema solare come pietra di paragone ci accorgiamo che le probabilità di trovare una quantità altrettanto ampia di pianeti rocciosi di dimensioni terrestri sono molto alte, solo che si fanno notare di meno, proprio a causa delle loro dimensioni ridotte. 

Metà dei pianeti che ruotano attorno al nostro Sole sono «piccoli» e rocciosi: Terra, Venere, Mecurio e Marte. Quanti potrebbero essercene allora là fuori, considerando che ogni stella che vediamo potrebbe avere un suo sistema planetario?

Il contributo dei nuovi algoritmi

Questa scoperta è stata possibile anche grazie all’evoluzione nel campo dello sviluppo di algoritmi sempre più performanti. In questo ambito il progresso è tale che spesso consideriamo come “nuovi” degli algoritmi che in realtà esistevano già da tempo, come nel caso di quelli «iterativi» impiegati nelle Tac.  

Coi giganti gassosi, analizzare in che modo una stella oscilla in ragione del loro movimento aiuta tantissimo, ma per scovare quelli di dimensioni ridotte occorre utilizzare il cosiddetto «metodo di transito», analizzando le fluttuazioni della luce ogni volta che un pianeta passa davanti al proprio Sole.

Una nuova «lente» per guardarci attorno

C’è un problema però, come spiega l’astrofisico René Heller del Max Planck Institut

«Quando un pianeta si muove di fronte a una stella, quindi inizialmente blocca meno luce stellare che a metà del tempo del transito, il massimo oscuramento della stella si verifica nel centro del transito poco prima che la stella diventi gradualmente più luminosa».

Conoscere questi complessi meccanismi e farli calcolare da una intelligenza artificiale, è un po’ come dotarsi di lenti più prestanti, permettendoci di ampliare ulteriormente i nostri orizzonti.

Chissà, un giorno avremo anche maggiori punti di riferimento per orientare le nostre antenne a caccia di messaggi intelligenti dallo spazio.

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