I dolori mestruali causano la perdita di 9 giorni l’anno in termini di produttività – Lo studio

In Paesi come Vietnam, Corea del Sud, Taiwan, Cina e Giappone c’è il congedo mestruale. Anche in Italia nel 2016 fu presentata una proposta simile, ma non è mai stata approvata

Che l’impatto del ciclo sulla popolazione femminile fosse socialmente sottostimato l’hanno sempre saputo più o meno tutte. Ma quando sono gli studi a confermarlo, si fa strada la speranza che qualcosa possa cambiare.


Una ricerca pubblicata sul grande giornale medico BJM, condotta da un team di studiosi olandesi e pubblicata giovedì 27 giugno, ha svelato che i dolori mestruali (dismenorrea) causano in media la perdita di 9 giorni l’anno in termini di produttività.


Assenteismo

Circa una donna su sette, su un campione di circa 34.000 olandesi, ha affermato di assentarsi dal lavoro o da scuola per il ciclo. Circa il 3% ha dichiarato che questo avviene puntualmente, per ogni mestruazione. Ma solo una su cinque comunica al datore di lavoro la vera ragione dell’assenza. Le donne sotto i 21 anni si sono rivelate tre volte più solite a mancare da scuola o dal lavoro delle altre.

Atto che in Italia può rivelarsi problematico dato che il congedo mestruale non è riconosciuto per legge. Lo è invece in paesi come Vietnam, Corea del Sud, Taiwan e Cina. In Giappone, la legge che lo riconosce è stata approvata 70 anni fa, nel 1947. Il 27 aprile 2016, i deputati Andrea Mura (M5s), Daniela Sbrollini (Pd), Maria Iacono (Pd) e Simonetta Rubinato (Pd) avevano presentato una proposta di legge che andava in questo senso, ma che non è mai stata approvata.

Calo della produttività

A testimoniare un calo della produttività a causa dei dolori mestruali è stato invece l’81% delle partecipanti allo studio. «Le donne hanno dichiarato di non essere produttive come al solito, hanno bisogno di andare in bagno ogni ora, soffrono di mal di testa e non riescono a concentrarsi» ha affermato Theodoor Nieboer, uno degli autori della ricerca e ginecologo al Centro medico dell’università di Radboud, in un’intervista alla CNN.

È forse per questo che il 68% delle partecipanti ha manifestato il desiderio di godere di orari più flessibili in termini di studio o lavoro durante il ciclo. «Il tema è ancora un taboo, nonostante ci troviamo nel secondo decennio del ventunesimo secolo», ha aggiunto Nieboer.

Il suo studio, lontano dal volere disincentivare l’assunzione di donne, punta infatti in questa direzione: «C’è bisogno di parlare più apertamente delle conseguenze sul lavoro dei sintomi del ciclo mestruale, e i datori di lavoro devono essere più aperti su questo tema con le dipendenti».

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