Fleabag (letteralmente «sacco di pulci»), protagonista dell’omonima serie televisiva, dice sempre la cosa giusta al momento sbagliato. Lo fa con le donne che cerca di sedurre e con gli uomini che riescono a sedurre lei, con chi la conosce e cerca di evitarla e con gli estranei che incrocia in contesti improbabili (quasi come il suo bar-caffè tappezzato da foto di un porcellino d’india) alla ricerca – a volte disperata, sempre divertente – di qualche istante di tregua dai sensi di colpa, dai ricordi dolorosi, dai lutti e dal senso di fallimento che la perseguitano.
Anche quando mente dice se non ‘la’ allora ‘una verità’, la sua, soggettiva e sincera, che spesso coincide anche con una verità sociale, con ciò che gli altri pensano ma non vogliono, non sanno o non possono dire. Piccole grandi verità confidate a bassa voce agli spettatori guardando direttamente nella telecamera, abbattendo il ‘quarto muro’ come un’ape che fa esplodere un palloncino (magari a forma di ape).
Ride sguaiata, dice cose fuori luogo, trama, ruba (soltanto una piccola statua fatta dalla sua matrigna, che a sua volta ha ‘rubato’ il posto della madre deceduta), ma sopratutto dà scandalo e imbarazza: se stessa, i suoi familiari e gli spettatori, quando calpesta i tabù – spesso femminili – che a volte ci intrappolano.
Come quando parla di sesso, frequentemente, voracemente a volte in modo volgare, ‘da bar’, insomma, quel luogo tremendamente maschile. Caratteristiche che in un contesto sociale diverso da quello delle villette eleganti dei quartieri bene di Londra, le mostre, i party in giardini, i pranzi in famiglia, magari non darebbe scandalo, perdendo di efficacia.
Nel Regno Unito c’è chi ne ha fatto una colpa all’autrice, Phoebe Waller-Bridge, puntando il dito contro la sua vita privilegiata. Nata in una famiglia della ‘landed gentry‘ – l’alta borghesia terriera – del Suffolk, che ha dato i natali anche a un deputato conservatore, il Reverendo Sir Egerton Leigh, è cresciuta in un quartiere rigoglioso di Londra, Ealing, frequentando una scuola privata, rigorosamente cattolica.
Dopo essersi laureata alla prestigiosa accademia di recitazione – Royal Academy of Dramatic Art – Waller-Bridge ha iniziato a recitare – soltanto alcune piccole comparse – e a scrivere – prima per il teatro e in seguito per la televisione, ottenendo discreto successo, oltre a Fleabag (tratto da un’opera teatrale di suo pugno) con Killing Eve, suo adattamento di un romanzo che racconta la storia di un’infatuazione tra un’analista dell’intelligence britannica e una sociopatica agente russa.
In una recente intervista ripresa dal Guardian Waller-Bridge si è difesa dicendo che, per quanto provenga da una famiglia privilegiata che le ha permesso di dedicarsi alla scrittura e alla recitazione, è stata lei e non il suo ‘privilegio’ a scrivere Fleabag.
Vero, verissimo. Ma al di là dei vari riferimenti autobiografici – come il rapporto con la fede – o del racconto delle nevrosi dei vari personaggi su cui si concentra la sua satira, Fleabag fa ridere e fa riflettere perché è la storia di un privilegio (quasi) inutile, il ritratto di una giovane donna (la stessa Waller-Bridge ha 33 anni) di classe media in un’epoca in cui la classe media è sempre più media, e sempre meno classe.
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