Sardegna, da un controllo di routine la scoperta dell’ispettorato: operatori di call center pagati 3 euro l’ora

Nel frattempo le due società sono state sanzionate per un valore complessivo di più di 600 mila euro

Cominciato come un ordinario controllo degli uomini dell’Ispettorato del Lavoro di Cagliari-Oristano, accompagnati dai carabinieri, la situazione che si è profilata ha lasciato sgomenti.


Nelle sedi di due società del capoluogo sardo che svolgono attività di call center per conto di un’importante società nazionale fornitrice di energia elettrica, si è scoperto che i 128 dipendenti erano pagati 3,78 euro l’ora.


Eugenio Annicchiarico, responsabile territoriale dell’Ispettorato di Cagliari-Oristano ha diramato una nota, denunciando «l’utilizzo illegittimo di contratti di collaborazione coordinata e continuativa che in realtà mascheravano veri e propri rapporti di lavoro subordinato relativi a 128 persone e gestiti secondo condizioni e modalità talmente irrispettose dei diritti minimi dei lavoratori da renderli paragonabili a quelli in essere in Europa ai primi del Novecento».

C’è di più: viste le condizioni di assoluta precarietà in cui versavano i dipendenti, Annicchiarico ha spiegato che si sta valutando «l’ipotesi di una denuncia alla Procura della Repubblica per il reato di caporalato, previsto dall’articolo 603 bis del Codice di procedura penale».

Nel frattempo le due società sono state sanzionate per un valore di 109.333,68 euro, «con un recupero di contributi omessi o evasi da versare nelle casse dell’Inps e pari a 497.851 euro». Parliamo quindi di più di 600 mila euro di multa.

Le condizioni di lavoro

Ai 128 dipendenti veniva imposto «uno stringente potere direttivo che si manifestava attraverso minuziose indicazioni sulla gestione della telefonata e nonché l’utilizzo di specifiche frasi da dire ai clienti, con conseguenti rimproveri verbali nei confronti degli operatori che si discostavano». Gli orari erano inoltre «rigidi e immodificabili» come emerso da ulteriori controlli fatti.

«L’esercizio del potere disciplinare che poteva giungere fino all’allontanamento dei lavoratori, i quali erano privi di ogni forma di tutela. A loro veniva pure chiesto di firmare lettere di dimissioni in bianco all’atto dell’assunzione», si legge nel comunicato.

Un altro particolare riguarda la scadenza dei contratti. A molti dei lavoratori, terminato il rapporto di lavoro, la retribuzione non era data integralmente.

I bonus previsti da contratto, rimanevano solo su carta, perché mai inseriti in busta paga. Infine, per quasi un anno, le due società non avevano nemmeno provveduto a trasmettere all’Inps le denunce contributive mensili.

Sempre Annicchiarico racconta di come all’interno di uno dei call center ci fosse una figura assunta come dipendente semplice che però di fatto «operava con i poteri organizzativi, gestionali e disciplinari tipici del titolare di una attività di impresa».

Nella sostanza significa che, in piena autonomia, poteva decidere chi assumere e chi licenziare, oltre ai turni di lavoro, alle modalità di pagamento degli stipendi.

Trovandosi quindi ad essere a capo della scala gerarchica della società, era in grado di svolgere colloqui per le assunzioni, e a licenziare in tronco «sulla base di decisioni personali, pretestuose e immotivate. Le numerose testimonianze raccontano di come la donna effettuasse continui richiami disciplinari verbali nei confronti dei collaboratori, con l’utilizzo di frasi irrispettose e umilianti».

In copertina: Una scena del film di Paolo Virzì, “Tutta la vita davanti”, in cui Sabrina Ferilli interpreta Daniela, la capo telefonista di un call center | Ansa

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