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Interviste emergenti: Aiello, il suo ex voto alla musica – Roma

19 Ottobre 2019 - 14:05 Felice Florio
«Non lo faccio per la fama, ma per la storia». Antonio rifugge i soldi, le orde di fan che invocano il suo nome: il suo vero sogno è lasciare un segno nei libri di storia della musica

«Perché scrivo canzoni? – sorride ai piedi del Bosco Verticale – Perché non dormo». C’è tanta schiettezza nella voce e negli occhi di Antonio Aiello, cosentino di 34 anni trapiantato a Roma dal 2005. Oggi è a Milano per andare negli uffici di Spotify e rilasciare l’intervista a Open. Ieri era seduto a terra nel suo appartamentino romano a comporre musica: «Stavo per mollare». Poi, è venuta Arsenico: «Un veleno che mi ha salvato».

Riavvolgiamo il nastro, dall’inizio.

«Posso racchiudere i momenti più importanti della mia consapevolezza artistica in due età: a 16 anni, quando ho iniziato a prendere le prime lezioni musicali. Era un tentativo, vano, di civilizzarmi a livello musicale. E lì, essendo il mio primo approccio serio a quest’arte, avvertii il bisogno di dare una voce a una serie di storie, esigenze».

La seconda fase?

«A 28 anni circa, ho avuto una bella batosta personale, una presa di coscienza che non era facile emergere. Non è che il mondo stava aspettando che Aiello cacciasse fuori una canzone. Mi sentivo perso, pieno di dubbi, e l’unica risposta che riuscivo a darmi era: “Antonio, abbandona, lascia stare”. Passò qualche giorno dalla decisione di mollare. E mi ricordo nitidamente che tutte le notti, verso le 3:00, mi alzavo dal letto e andavo a suonare la tastiera a terra».

Ne hai fatta di strada da allora: dalla tastiera sul pavimento a una serie di sold-out nei prossimi mesi.

«È bastato ripetermi fino ad accettarlo: “Ok, non diventerò mai una pop-star, ma io continuo a fare musica comunque”. Poi è successo che Arsenico mi ha dato questa grande opportunità. E devo ancora capire bene quello che mi sta accadendo».

Una composizione, come dire, artigianale?

«Arsenico è una delle nove tracce del disco che mi sono autoprodotto e se per artigianale intendiamo che l’ho fatto per me stesso, in maniera autentica, più per lasciare un segno ai curiosi della musica, senza un disegno di una casa discografica, sì: è artigianale. A livello di qualità, è stato un lavoro artigianale ma collettivo: ci sono state più persone a lavorare con me sui pezzi. Hanno fatto questo lavoro insieme a me perché avvertivo questo bisogno: non c’era nessun all’epoca, solo – e fa il gesto delle virgolette – dei grandi amici».

Hai 34 anni, avevi pensato a un piano B?

«Avevo messo da parte dei soldi per autoprodurmi. Facevo il consulente di marketing: una vacanza in meno, una canzone in più. Il mio piano B era ben confezionato. Ho studiato comunicazione all’Università della Calabria, poi marketing alla Luiss a Roma e quindi la mia idea era quella di occuparmi dell’aspetto più creativo dell’economia. Il piano A è quello che ho sempre avuto nel cuore e che mi fa svegliare alle 3:00 di notte».

Sei partito dal Sud come tanti giovani. La Calabria ti stava stretta?

«Avevo 21 anni quando mi sono trasferito a Roma. L’ho fatto per cercare delle opportunità. Ma sono molto orgoglioso delle mie origini calabresi, meridionali, greche, provenendo da una zona dell’ex Magna Grecia. Ma se devo raccontarti dei miei luoghi del cuore ti parlerei di Fuscaldo, dove andavo al mare da piccolo. Cosenza, dove sono nato e cresciuto. Poi Londra, la prima città che ho vissuto veramente da solo, ci andavo a fare le vacanze studio: ogni due mesi ho bisogno di tornarci. Non posso non nominare Roma: se Cosenza mi ha partorito, Roma mi ha fatto diventare uomo. In 12 anni ho vissuto almeno sei vite. Magica, Roma è magica nonostante la drammaticità quotidiana».

Ti ha influenzato in qualche modo questo tuo essere ramingo?

«Tutti i posti che ho vissuto mi hanno vissuto a loro volta. Nelle mie canzoni non solo nomino i luoghi dove sono stato, ma compaiono in qualche forma dietro ogni parola, ogni nota».

“C’è dolore” dentro te?

«Il dolore che c’è stato. Per mia fortuna non conosco la tristezza a livello musicale, semmai la malinconia, che è il vero stato d’animo che attraversa i miei brani. Le canzoni sono nate proprio perché buttavo fuori quella malinconia, una scrittura detox – sorride -. Non dico che un secondo dopo che era nata Arsenico stavo già meglio, ma possiamo dire che il grosso l’avevo già estirpato».

Come hai capito di aver “svoltato”?

«Quando le persone hanno iniziato a fermarmi per strada chiedendomi se fossi quello di Arsenico. Poi, non sono uno affezionato ai numeri, però vedevo che su Spotify, YouTube, il brano faceva degli stream incredibili per un cantante senza casa discografica, un signor nessuno. Tutti a quel punto si sono affacciati per proporsi: parlo dei grandi attori del panorama musicale. Beh, questa cosa mi ha causato un mese di stordimento in cui non capivo davvero nulla: temevo che l’abbraccio delle etichette fosse troppo soffocante».

Poi un’offerta, però, l’hai accettata.

«Per me la Sony è una grande opportunità, ma non è un punto d’arrivo. È un punto di partenza. Per fortuna il mio avvocato, quando sono arrivate le proposte, è diventato anche il mio psicologo: Pierluigi mi è stato vicino a livello umano oltre che professionale. E insieme a lui gli amici di una vita».

Com’è cambiata la tua quotidianità dopo Arsenico?

«Ci sono dei tempi straveloci. Mi rendo conto che sono io che devo ritagliarmi dei tempi per me. Quando uno pensa all’arte, alla musica, crede si tratti di qualcosa di semplice. In effetti, se ti viene naturale scrivere e cantare può sembrarlo. Ma intorno c’è un mondo a cui devi dar conto, che ti costringe a correre e non si spegne mai. Non è un lavoro di ufficio: è un 24h. Aggiungi le ansie per qualsiasi cosa fai in pubblico, l’impatto emotivo meraviglioso, ma molto impegnativo a livello muscolare, dell’amore dei fan. Splendido, ma che ti consuma energie a livello muscolare».

Dovrai allenarti: tutti ormai hanno ascoltato, almeno una volta, Arsenico.

«La fortuna è che mantengo una certa lucidità sulle dinamiche. Se una fan mi dice “ti amo”, ok apprezzo, ma dò il giusto peso a quella bellissima manifestazione spontanea. Se raggiungi la fama da 15enne, è chiaro che puoi farti delle strane idee. Non metto in discussione la genuinità del sentimento dei fan, sono arrivato a doverlo elaborare in un età in cui sono sufficientemente maturo».

Qual è la tua canzone, tra le tue canzoni, preferita?

«Non c’è un pezzo a cui sono particolarmente affezionato all’interno dell’album Ex Voto. Tutti i brani raccontano uno spaccato di vita molto pesante, molto sentito. Forse il pezzo più burlone, che è Festa, è quello che considero il più universale, il più importante visto il momento che viviamo. Forse, emotivamente, mi coinvolge un po’ meno. Mi dà l’hype di ballare, sì, ma le altre canzoni, quando le riascolto, mi fanno sussurrare: “Cazzo, che ho passato”».

C’è un verso nelle canzoni di Ex Voto che senti particolarmente tuo?

«La maestra Gianna mi rimproverava e salivo sulle nuvole. Lo canto ne Il cielo di Roma. Sono sempre stato molto wild. Come da bambino, continuo a fantasticare sempre. Ciò che mi sta capitando è un’occasione splendida per continuare a vedere l’arte a modo mio, poterla fare e farla sentire a tanti. Ecco, la differenza tra prima e oggi è che prima mi ascoltavano in dieci. Adesso lo faccio con lo stesso approccio, stessa energia e autenticità, ma con un po’ di budget in più e quasi 8 milioni di persone che hanno sentito Arsenico».

Che tu voglia o meno, adesso stai vivendo il vero successo: com’è?

«I risultati, i numeri, a me servono solo per avere garantita la possibilità di poter continuare a fare musica. Sono risultati più di grande bellezza che di grande fama. Io tra 10 anni vorrei che sui libri ci fosse scritto il mio nome. Ma non per vantarmene in giro. Ma semplicemente per aver lasciato un segno nella storia della musica. Non mi interessa fare 10 tormentoni e fare il figo per 10 estati. A me interessa fare musica figa che resti nella storia».

Prova a spiegare co’è la tua musica, a parola, e perché è “figa”.

«Io provo a mescolare quella che è la mia veracità cantautorale, figlia di studio di artisti ai quali non mi avvicino lontanamente – ride, mentre ci parla di Dalla, Battisti, Rino Gaetano -, e provo a mescolare questo tipo di verità e di esigenza di racconto con dei suoni contemporanei. È un mix di rhythm and blues, soul, pop mainstream e quei suoni indie, un po’ sporchi e poco patinati. Tutto questo mescolare dà forma ad Aiello, alla mia visione di pop».

Prossimi concerti?

«Parto da Milano il 28 novembre. Il 7 dicembre sarò a Roma. Secondo me è una presa in giro, ma mi hanno detto che siamo andati sold-out dopo 48 ore. Prima ancora che uscisse l’intero disco».

Luogo e artisti del tuo concerto dei sogni: Aiello & …

«Non ho mai avuto degli idoli. Se potessi far tornare in vita Dalla, Battisti e Rino Gaetano direi loro di venire sul palco con me. Poi mi metterei da parte e fare cantare loro. Pure come palco, non sogno nulla in particolare. Il desiderio più forte adesso è fare un concerto nella mia città, Cosenza. Ma se parliamo di stadi, visto che adesso c’è l’esplosione del tema live in cui il giorno prima canti sotto la doccia e il giorno dopo sei a San Siro, non ci penso nemmeno. Non dico che non sia bello, sono anche dell’Inter, ma è così rara e difficile che non penso alla grandezza del luogo oggi, piuttosto all’attenzione delle persone che ascoltano le mie canzoni».

Video: Vincenzo Monaco

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