Ilva, Bonelli (Verdi) contro tutti: «Fallimento dell’intera classe politica. Lo scudo penale? Una fake news allucinante» – L’intervista

Per il presidente dei Verdi – studioso della vicenda dell’Ilva – la soluzione non è reintrodurre l’immunità, quanto riconvertire l’impianto

«Questa vicenda dell’Ilva è il fallimento di una classe politica che ha governato questo Paese e non ha capito cosa stava facendo. Da Monti passando per Renzi, Calenda, Conte e Di Maio sono tutti responsabili di questo fallimento e di questa incapacità di avere una visione strategica per il futuro industriale di questo Paese». La vena polemica che Angelo Bonelli, presidente dei Verdi italiani, utilizza nel parlare di quanto sta accadendo a Taranto, dove la compagnia franco-indiana ArcelorMittal ha annunciato di voler recedere dal contratto di acquisto dell’Ilva, citando tra le ragioni in primis la rimozione dello scudo penale (introdotto da Renzi, confermato e poi tolto da Conte) è tipico di chi si trova da tempo all’opposizione e lontano dalle leve del potere.


Si vede per esempio nell’accusa generale mossa nei confronti della classe dirigente di non aver voluto capire la crisi mondiale dell’industria dell’acciaio – Bonelli fa notare che Arcelor-Mittal ha ridotto la produzione in tutti gli stabilimenti europei, tranne che in Italia – e di non aver agito in tempo per trovare soluzioni alternative. Pazienza se si tratta di un’industria strategica, pazienza per esempio se la meccanica italiana – primo settore di produzione nazionale – dipende anche dall’acciaio. 


Ma lo sguardo è anche quello di chi da tempo segue la vicenda dell’Ilva – Bonelli si era anche candidato sindaco di Taranto nel 2012 (è diventato consigliere comunale) – e quindi lamenta errori e invoca soluzioni macroscopiche e di lungo termine. Inutile cercare, ragiona Bonelli, una soluzione che tenga in vita l’Ilva così com’è (anche se non esclude a priori l’ipotesi di una nazionalizzazione «dipende dal piano del Governo»). È il caso anche della reintroduzione dello scudo penale annunciato mercoledì 6 novembre dallo stesso premier Giuseppe Conte, così per togliere «ogni alibi» ai (riluttanti) proprietari dell’Ilva, che però Bonelli ritiene essere superfluo (oltre che inutile).

Bonelli, perché ritiene inutile re-introdurre lo scudo penale?   

«Innanzitutto perché l’articolo 46, comma 1, del decreto crescita garantisce l’immunità ad ArcelorMittal attraverso l’attuazione del piano ambientale con una norma – l’articolo 6 del decreto legislativo 231 del 2001 – che dice sostanzialmente che se viene attuato un piano dell’autorità il soggetto interessato non può risponderne penalmente. Comunque lo scudo penale non esiste in nessuna parte d’Europa, quindi mi sorprende che se ne parli. Pisapia per esempio propone una norma generale per l’immunità per tutti gli impianti che operano nelle condizioni dell’Iva. Mi sembra una proposta assurda».

ANSA / Il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli

Ma il senso dello scudo penale non è quello di tutelare nuovi investitori dalle colpe di chi operava prima di loro?

«Questa è una fake news allucinante. Qualunque persona va in un’aula di giurisprudenza a dire una cosa di questo genere viene presa a calci. La responsabilità penale nel nostro ordinamento giuridico è individuale, significa che se un reato è stato commesso in un determinato periodo ne risponde chi aveva funzioni specifiche in quel periodo. Non si possono contestare reati nel passato a chi è subentrato successivamente. È un ragionamento davvero aberrante».

Però stiamo parlando di un’acciaieria che frutta circa l’1,4% del nostro Pil e che ha un’importanza strategica a livello industriale. 

«Chi dice questa cosa sono gli stessi che hanno creato questa situazione. Coloro i quali hanno avuto la leva del comando sono gli stessi che hanno portato allo smantellamento dell’Ilva. Non dimentichiamoci che nel 2012 avveniva il sequestro perché c’era una situazione drammatica dal punto di vista dell’inquinamento e l’incidenza della mortalità rispetto alla media pugliese nei bambini di Taranto era più del 21%. Questo è o non è un argomento sufficiente per indurre interventi tali da impedire l’inquinamento?».

A suo avviso cosa bisognerebbe fare?  

«A Duisburg dove c’era un impianto che inquinava e creava problemi seri, cosa hanno fatto i tedeschi? Non hanno continuato a far marciare l’impianto. L’Ilva ha continuato a inquinare – basta pensare ai picchi di diossina nel quartiere Tamburi del 2015 – mentre a Duisburg hanno fermato l’impianto, lo hanno raso al suolo, hanno ricostruito nuovi impianti in circa due anni e mezzo a due chilometri dai centri abitati con moderne tecnologie. L’Ilva è in questa situazione da sette anni e mezzo. Un altro esempio è Pittsburgh dove negli anni ’60-’70 si produceva il 50% del fabbisogno di acciaio degli Usa ma oggi attraverso uno straordinario progetto di conversione è diventata una città del sapere: centri di ricerca biomedica, su nanotecnologie, robotica, campus universitari e l’occupazione è più alta di prima».

E cosa succederebbe ai dipendenti dell’Ilva durante questo periodo di transizione?

«Ho scritto un libro su questo argomento quattro anni fa [Good Morning Diossina ndr] in cui facevo un’analisi di politica industriale e finanziaria su come arrivare a questo obiettivo. Un conto era parlarne quattro anni fa, un altro è farlo oggi. Comunque, Taranto ha bisogno di investimenti che vadano nella direzione delle infrastrutture: bisogna portare l’alta velocità a Taranto, perché c’è un sistema portuale importante che potrebbe diventare l’hub del Mediterraneo verso l’Africa, verso il Medio Oriente quindi anche l’Oriente. Oggi il porto di Taranto è a servizio dell’Ilva per il 90%, quindi è un porto che non assolve una sua funzione essenziale: se vogliamo trasformarlo  in un porto merci e passeggeri vanno costruite le infrastrutture necessarie, sia stradali che ferroviarie, come l’alta velocità. Detto questo: si istituisca l’area no-tax a Taranto per attirare gli investimenti esteri per introdurre la nascita di attività produttive ad alto contenuto ecologico, per esempio».

Quanto costerebbe? 

«Va giustamente studiato. I costi delle risorse che sono state spese fino ad oggi sicuramente avrebbero fatto fare un passo in avanti considerevole a questo tipo di ipotesi: lo Stato fino ad oggi ha messo 700 milioni di euro nell’amministrazione straordinaria dell’Ilva. Però se non c’è una volontà politica che mette insieme il governo centrale e locale e una serie di investitori diventa molto complicato».

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