Non solo Microsoft, anche in Italia c’è chi sceglie la giornata di lavoro corta (e funziona)

In Trentino c’è un’azienda che si occupa di sviluppo software e che da circa due anni ha ridotto l’orario di lavoro giornaliero da 8 a 6 ore. E i dipendenti, età media 30 anni, assicurano di essere diventati da allora più performanti (ci sono dati che lo confermano)

«Lavora per poco tempo, riposa bene e impara molto». Con queste parole il Ceo di Microsoft Giappone, Takuya Hirano, ha comunicato ai suoi dipendenti di aver ridotto la loro settimana a 4 giorni lavorativi, lasciandoli liberi per un lungo weekend.


Una notizia che è diventata subito virale ed è stata ripresa dai principali giornali. Eppure ridurre la settimana o gli orari di lavoro non è una novità introdotta da Microsoft Giappone, ma nel mondo sempre più aziende scelgono di scommettere sui benefit ai dipendenti con l’obiettivo di aumentare la qualità del lavoro.


Un do ut des che sembra funzionare, parola di chi lo ha sperimentato. Nel caso specifico di Microsoft la produttività è aumentata del 40%, le pause durante il lavoro diminuite del 25% e il consumo di elettricità, sceso del 23%.

Ma ci sono anche altri esempi: i Paesi più virtuosi sembrerebbero essere Regno Unito, Australia, Germania e Stati Uniti. In effetti secondo un sondaggio del 2018, portato avanti dall’Istituto Workforce, su 3mila dipendenti oltre la metà è convinta di poter svolgere il proprio lavoro in cinque ore anziché otto.

In Italia, alcune aziende hanno provato a incrementare benefit pagando ai dipendenti corsi di yoga o massaggi direttamente al lavoro, ma sembrano essere ancora poche quelle disposte a rischiare riducendo i giorni lavorativi o l’orario di lavoro.

Un esempio positivo potrebbe essere la Lamborghini che qualche anno fa ha introdotto in estate per 250 operai (addetti alla catena di montaggio) la possibilità di finire il turno alle 13 il venerdì per permettere loro di andare al mare.

Il caso in Italia

Anche in Italia chi è stato abbastanza audace da tagliare gli orari di lavoro, assicura di averne tratto dei benefici. È il caso di Zupit, un’azienda trentina che si occupa di sviluppo software. Ha poco meno di 20 dipendenti, l’età media è 30 anni e da quasi due anni ha ridotto l’orario di lavoro giornaliero da 8 a 6 ore, lasciando sostanzialmente lo stipendio dei dipendenti invariato.

Si lavora dalle 8 alle 14, poi si ha il tempo per viversi la propria vita. «È la ragione per cui l’ho scelta come posto di lavoro – racconta Lorenzo Rivaroli, 26 anni, uno dei dipendenti più giovani di Zupit. – Uso molto del mio tempo libero per la formazione, leggo molto, faccio corsi e questo mi permette di essere più performante sul lavoro».

«Così posso vedere più spesso il mio papà che è anziano – aggiunge Marco Pavanelli, un altro dipendente – prima lo vedevo una volta a settimana perché abitiamo distanti, adesso quasi tutti i giorni. A volte invece mi capita di usare il tempo per prendere parte a qualche altro progetto».

Un mestiere, quello di sviluppatore, che richiede elevate capacità di problem solving, la creatività in questo senso non è un’abilità secondaria, ma diventa fondamentale. «Poter vedere altri team, lavorare ad altri progetti permette di aprirsi in un modo altrimenti impossibile e permette di sviluppare capacità che poi si rivelano utili anche sul lavoro», aggiunge Rivaroli.

Da quando è stato introdotto il nuovo orario, l’azienda che ha tagliato l’orario di lavoro del 25% ha visto una diminuzione di produttività di solo 7%. «Uno scarto minimo che potrebbe permetterci in futuro di fare nuove assunzioni per colmare il gap», dice Andrea Zomer, uno dei tre soci di Zupit e l’ideatore della “giornata corta”.

«Ho solo importato il modello da altri Paesi come gli Stati Uniti dove da tempo si sperimenta questo tipo di benefit. Abbiamo fatto prima un test di qualche mese, ha funzionato, quindi abbiamo continuato», afferma Zomer. «Ho sempre pensato che si lavorasse troppo e si avesse troppo poco tempo per altro. Il lavoro non può diventare la nostra vita, e una bassa qualità della vita finisce per avere un impatto negativo sul lavoro, sulla creatività», continua.

La “giornata corta” ha reso l’azienda più attrattiva. «A differenza di altri campi, gli sviluppatori sono molto richiesti, c’è più domanda che offerta, e noi grazie a questa novità siamo riusciti ad assumere tanti giovani brillanti che magari in alternativa avrebbero optato per altre aziende o addirittura sarebbero andati all’estero».

La conferma arriva dagli stessi dipendenti. «Io, quando ho iniziato a lavorare da Zupit, ero neo laureato avevo pensato di partire, ma poi qui ho trovato ciò che cercavo. Avere le ore libere mi permette di poter fare tutto quello che voglio», conclude Rivaroli.

Dello stesso parere Stefano Sega, dipendente di 30 anni: «Io lavoro qui da più di due anni, ho vissuto il cambio di orario ed è stata una rivoluzione. All’inizio non mi sembrava possibile che alle 14 ero già libero di andare e poter fare tutte le faccende a cui di solito si dedicano i ritagli di tempo. Sapere di avere il tempo nella giornata per fare commissioni mi permette di essere molto più concentrato sul lavoro di come lo ero prima».