Telethon a caccia di malattie rare con tecniche innovative per lo studio dei geni mutati

Per i suoi 30 anni di attività, la Fondazione festeggia con un progetto destinato a individuare malattie rare

Tra il 15 e il 22 dicembre la fondazione Telethon festeggia i suoi 30 anni di attività nel supporto della ricerca contro le malattie rare, dando sostegno a pazienti e famigliari.


Per l’occasione verranno distribuiti dai volontari dell’Associazione i «Cuori di cioccolato» in tremila piazze italiane. All’iniziativa parteciperanno anche altre organizzazioni come Avis e Azione Cattolica.


Come spiegano gli organizzatori, l’evento è destinato a sostenere tramite donazioni «una ricerca scientifica di eccellenza e trovare cure e terapie per chi ogni giorno vive con una malattia genetica rara».

L’evento è in concomitanza con la consueta maratona televisiva. Non è possibile trattare tutte le malattie rare. Potremmo soffermarci su una in particolare, come la Sindrome di Kleefstra, per dare un’idea di quanto sia importante sostenere la ricerca in questo campo. 

Il problema della rarità di una malattia, comporta anche difficoltà nel diagnosticarla e nel prevenirla in anticipo durante gli screening pre-concepimento. Pensiamo al recente caso del bimbo affetto da Ittiosi Arlecchino in cura al Sant’Anna di Torino. 

Esiste anche un limbo fatto di patologie non ancora classificate e circoscritte con precisione. Parliamo di persone che non possono dare un nome a ciò che li ha colpiti, un problema per niente banale.

Telethon festeggia 30 anni di attività. Per l’occasione verranno distribuiti dai volontari dell’Associazione i «Cuori di cioccolato» in tremila piazze italiane.

Il programma Telethon per le malattie senza diagnosi

Sono migliaia le malattie ancora non diagnosticabili, le cui cause restano sconosciute. Ragione per cui Telethon ha messo in collegamento numerosi istituti di ricerca, avviando dal 2016 un progetto pilota per l’analisi delle malattie genetiche sconosciute.  

Coinvolge pazienti in età pediatrica con circa 350-400 casi, selezionati dai centri di riferimento. Sequenziando il «Dna dell’esoma» (regione prevalentemente codificante e informativa del genoma), i ricercatori andranno a caccia di mutazioni genetiche correlabili al quadro clinico dei piccoli pazienti. 

Questo tipo di analisi viene svolto presso il Tigem (Istituto Telethon di genetica e medicina), da cui partiranno i dati raccolti per essere messi in condivisione al resto della comunità scientifica, mediante piattaforme informatiche. Tutto il progetto si avvale di metodi di nuova generazione nel sequenziamento del Dna (Ngs).

Unendo la Ngs all’elevata potenza di calcolo di cui possiamo disporre oggi, si stima di poter individuare i geni che causano queste patologie nel 25-35% dei casi «isolati», ovvero di cui non esistono precedenti nelle storie famigliari dei pazienti.

La già citata la Sindrome di Kleefstra è proprio una delle malattie rare che è stato possibile diagnosticare al Tigem, mediante il software «Face to gene». Il caso è stato seguito dal dottor Angelo Selicorni. Essere affetti da questa sindrome significa avere un ritardo cognitivo, che porta il bambino ad avere difficoltà a parlare e muoversi in maniera agevole. 

Angelo Selicorni: «Porre una diagnosi significa ridare dignità e individualità a una famiglia»

Attraverso Face to gene è stato possibile riconoscere anche alcuni tratti fisici caratteristici, come la forma anomala delle sopracciglia, il labbro superiore ad «arco di cupido» e quello inferiore rovesciato, oltre a una mandibola prominente e gli occhi distanti.

Angelo Selicorni spiega a Open come sarà possibile in futuro migliorare la ricerca contro le malattie rare e colmare le lacune nella nostra capacità di diagnosticarle.

Perché è così importante il Dna dell’esoma in questo genere di ricerche?

«Lo studio dell’esoma ( l’insieme di tutti gli esoni dei nostri geni) consente in un’unica analisi di studiare tutta la parte importante (codificante) del nostro DNA. Noi sappiamo infatti che l’esoma rappresenta l’1-2% del nostro patrimonio genetico ma al suo interno sono localizzate l’85% delle mutazioni correlate a patologia umana.

Lo studio del trio familiare (analisi del DNA dei genitori e del bambino) consente di ottenere quindi una analisi dettagliata del DNA del paziente, capace di mettere in luce anomalie a carico di geni correlati a condizioni ultra rare, difficilmente sospettabili sulla sola base clinica e, di conseguenza, difficilmente testabili in modo diretto e mirato».

Riscontrare una mutazione genetica significa sempre che la relativa patologia si manifesterà? Oppure sono determinanti anche altri fattori?

«Dobbiamo distinguere tra condizioni monogeniche e condizioni a ereditarietà multifattoriale. Le malattie appartenenti alla prima categoria sono condizioni in cui la presenza della mutazione genetica si associa sempre a una manifestazione clinica della patologia. La gravità del quadro può essere però differente da bambino a bambino, da genitore a figlio, o tra persone similmente affette ma non imparentate tra loro.

Questo fenomeno è definito variabilità di espressione clinica. Appartengono alla seconda categoria situazioni cliniche quali singole malformazioni di organi (quali le cardiopatie congenite isolate) o malattie comuni come il diabete, l’ipertensione arteriosa.

In questi casi più varianti genetiche determinano un certo grado di suscettibilità della persona allo sviluppo della patologia ed è l’interazione della predisposizione genetica individuale con fattori ambientali che determina l’insorgenza della malattia».

Sarà possibile in futuro – anche tramite l’applicazione di nuovi software – migliorare gli screening pre-concepimento? Oggi che affidabilità hanno?

«Il problema non è “laboratoristico”. Oggi possiamo testare lo stato di portatore sano di un individuo per molte malattie genetiche ma questa analisi è sempre incompleta e limitata. D’altra parte noi sappiamo che il 60% circa delle malattie genetiche insorge come nuova mutazione nel patrimonio genetico di chi ne è affetto rendendo inutile ogni approfondimento pre-concezionale sui genitori.

È però importante in fase pre-gravidanza eseguire una attenta anamnesi personale e familiare volta a identificare eventuali situazioni di rischio legate alla presenza di soggetti affetti da condizioni genetiche magari misconosciute o sottovalutate per le quali potrebbe esserci un rischio genetico aumentato specifico».

Il Progetto ha lo scopo di individuare malattie che fino a oggi non è stato possibile diagnosticare. Dal 2016 a oggi quante ne sono state individuate?

«Il Progetto ha sino a oggi coinvolto 781 famiglie di cui il sequenziamento è stato completato in 540. Sono già stati emessi 262 referti di cui 117 conclusivi per una diagnosi di malattia genetica con una “detection rate” pari al 44%, in linea con le percentuali di progetti paralleli pubblicati nella letteratura internazionale.

Porre una diagnosi significa levare la famiglia dal buio dell’isolamento, ridarle dignità ed individualità, offrire la possibilità di accedere a informazioni disponibili, tramite la letteratura scientifica internazionale o l’esperienza di altre famiglie.

Definire la diagnosi sul piano biologico genetico offre inoltre alle famiglie coinvolte la possibilità di ricevere una consulenza genetica mirata, sia riguardo al rischio di ripetizione della patologia in loro eventuali nuovi figli, sia in quelli di fratelli/sorelle, zii/zie sane del bambino affetto».

Questo genere di ricerche rappresentano un passo avanti anche per lo sviluppo di nuove terapie?

«Certamente sì. La diagnosi definitiva è la premessa indispensabile, il punto di partenza ineludibile di ogni progetto di ricerca di base. Solo partendo da una definizione precisa del difetto biologico è possibile tentare di comprendere i meccanismi che determinano le diverse manifestazioni della
malattia e tentare di trovarne un rimedio farmacologico».

Foto di copertina: ANSA/Antonella Clerici con il presidente della Rai Marcello Foa e Carlotta Mantovan (C), nel corso della trasmissione di Rai1 “Festa di Natale”, serata interamente dedicata a Fondazione Telethon, in apertura della trentesima edizione della maratona televisiva Rai a Roma, 14 dicembre 2019. ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI.

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