La ministra dell'Agricoltura si prepara a dare battaglia al Governo
Barbara Lezzi, ex ministra per il Sud durante il governo giallo-verde, si lancia all’attacco della ministra dell’Agricoltura, Teresa Bellanova: «Alla Bellanova fa schifo il reddito di cittadinanza. Si dimetta e faccia cadere il governo».
Il dente avvelenato di Bellanova nei confronti del reddito di cittadinanza è parte della lotta renziana contro l’attuale governo. E lei, da renziana doc, capo della delegazione di Italia Viva nel governo, si è dimostrata più volte interprete dei voleri di Matteo Renzi.
La battaglia di Bellanova va ad aggiungersi a quella già annunciata dalla compagine renziana contro la legge sulla prescrizione che li vede potenziali alleati di pezzi di opposizione come Forza Italia.
Non è dello stesso parere il premier Giuseppe Conte che, anzi, ha dichiarato durante la conferenza stampa di fine anno: «Il reddito di cittadinanza è una misura di cui vado orgoglioso e che rivendico. È stata molto efficace per contrastare la povertà assoluta. Dopo solo otto mesi abbiamo registrato un calo del 60% della povertà assoluta. È un risultato incredibile», ha detto.
Il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan ha dimezzato i tempi per la formalizzazione dell’invio di truppe in Libia a sostegno del neo-alleato Fayez al Sarraj. Il Parlamento turco sarà chiamato a pronunciarsi sulla mozione del governo il 2 gennaio prossimo, non appena riprenderanno i lavori in aula.
Con l’entrata in campo della Turchia nel conflitto libico, Erdogan muove un altro importante passo nella scacchiera geopolitica per il controllo delle migrazioni. A partire dalla stipulazione degli accordi del 2016 con l’Ue, Ankara gioca già un ruolo centrale nel contenimento e nella gestione dei flussi da est. Affiancando Sarraj nella difesa di Tripoli, il presidente turco guadagnerebbe un ruolo centrale anche nella rotta del Mediterraneo.
La scelta di anticipare i tempi
Erdogan aveva fatto intendere la sua volontà di tagliare corto sulle tempistiche già nella giornata del 28 dicembre. Oggi, 29 dicembre, è arrivata la conferma ufficiale: anche a causa dell’intensificarsi degli attacchi di Kalifa Haftar su Tripoli, il voto non si terrà più tra l’8 e il 9 gennaio, ma ben 6 giorni prima.
Tra l’altro, l’8 gennaio sarebbe stata anche la data della visita in Turchia di Vladimir Putin: la presenza ad Ankara del capo del Cremlino nel giorno del voto in Parlamento sarebbe potuta essere una coincidenza poco strategica per la diplomazia tra i due Paesi (non alleati ma di certo non in contrasto). La Russia è infatti già presente in campo libico con i suoi mercenari tra le truppe del generale Haftar.
Stando alle notizie trapelate in queste ore, comunque, Erdogan avrebbe già mandato a Tripoli 300 soldati appartenenti alle milizie siriane alleate delle forze turche nel conflitto in Siria. Altri 900-1000 miliziani sarebbero stati invece trasferiti nei campi di addestramento turchi, in attesa di partire per la Libia per 3-6 mesi.
Le mosse (tardive) dell’Ue
E mentre la Libia corre verso il punto di non ritorno, con le forze del generale della Cirenaica che avanzano velocemente sulla capitale, l’Ue si fa avanti per tracciare una linea diplomatica.
La proposta di una missione europea (non ben definita) in Libia è stata avanzata nei giorni scorsi dal ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, che ha ricevuto il primo ok dei suoi omologhi europei. All’orizzonte c’è anche l’appuntamento di Berlino.
L’Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera, Josep Borrell, aveva annunciato in una telefonata con il ministro degli Esteri di Tripoli, Mohamed Taher Siala, che la visita si sarebbe tenuta il 7 gennaio prossimo. Accanto a Borrell ci saranno Di Maio e i capi diplomatici della Francia, della Germania e della Gran Bretagna.
In ogni caso, l’intervento dell’Ue arriva a giochi già iniziati. L’Europa, nonostante il suo appoggio al governo di accordo nazionale di Tripoli, rischia di non avere un ruolo importante nella risoluzione del conflitto.
In confronto ad attori come Russia, Egitto, Emirati e Arabia Saudita (schierati con Haftar) e di presenze come quelle della Turchia e del Qatar (schierati con Sarraj) gli Stati europei sembrano essere ormai solo delle comparse, con i ruoli dell’Italia e della Francia sempre più sbiaditi.
Anche l’intervento di Di Maio, volato in Libia il 17 dicembre per incontrare entrambe i leader della guerra civile, appare poco risolutivo, come affermato dallo stesso Sarraj nelle ore successive al vertice. Il capo del Gna ha lamentato diverse volte nel corso degli ultimi 8 mesi l’assenza diplomatica dell’Ue. Anche se Haftar dovrebbe arrivare a Roma nelle prossime settimane, la crisi sembra ormai essersi definita.
Per ora, il Paese europeo con le idee più chiare sembra essere la Grecia, toccata in prima persona dal memorandum economico e militare tra Libia e Turchia. «Non vogliamo una fonte di instabilità nelle aree a noi vicine», ha dichiarato il premier Kyriakos Mitsotakis. «Quindi vogliamo voce in capitolo sugli sviluppi in Libia. Vogliamo essere parte della soluzione in Libia perché (essa) riguarda anche noi».