Si chiama “The Survivors” la chat whatsapp degli italiani rimasti a Wuhan, la città focolaio del Coronavirus nella provincia di Hubei in Cina. I “sopravvissuti”: devono sentirsi così: dieci in una città da undici milioni di persone dove ogni giorno ci sono decine di decessi e centinaia di nuovi contagi (gli ultimi dati parlano di 94 decessi nell’area). In dieci contro il coronavirus, ma pur sempre in dieci. O meglio, sono nove gli italiani in chat più un ragazzo cinese: una professoressa, un dottorando, due manager, quattro studenti e uno chef. E per farsi forza e tenersi compagnia e condividere consigli e informazioni si scrivono su whatsapp in una chat parzialmente ispirata ai Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.
«Non abbiamo mai sottovalutato la pericolosità della situazione»
Come scrive il Corriere della Sera, c’è infatti una Lucia, promessa sposa a un Renzo cinese, anche lui membro della chat tricolore. E poi c’è un manager vicentino che si fa chiamare Fra Cristoforo, come il padre dei Promessi Sposi, per l’atteggiamento paterno mostrato nei confronti degli italiani di Wuhan. Ci sono momenti bui, momenti di preoccupazione, come quando trapelano notizie inquietanti: si dice che le autorità cinesi usino anche le informazioni dei vicini per identificare nuovi casi, una pratica destinata ad alimentare tensioni sociali. Deve pesare la decisione di essere rimasti in Cina e di non essere tornati in Italia dove i casi sono di molto inferiore e il rischio di contagio molto più ridotto. Ma i membri della chat ostentano tranquillità e sembrano essere sicuri della loro scelta.
È il caso di una ricercatrice di 30 anni, anche lei membro del gruppo, che si fa chiamare “E.” e che al Corriere fa un confronto con una precedente epidemia: «Non abbiamo mai sottovalutato la pericolosità della situazione, ma viverla dall’interno fa cambiare prospettiva. Ricordo la Sars, ero alle medie. I notiziari mi fecero sentire impotente e vulnerabile… ma era distante allora. Poi mi sono ritrovata nell’epicentro di questa epidemia e ho reagito in una maniera inaspettata: tranquilla e fiduciosa». «E non sono inerte, posso agire e controllare le mie azioni, so che bastano precauzioni semplici, come mascherina, guanti e occhiali. Disinfettanti al ritorno», continua la giovane ricercatrice. «Non abbiamo mai sottovalutato la pericolosità della situazione, ma viverla da dall’interno fa cambiare la prospettiva».
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