Verde come il diritto all’aborto: storia del pañuelo e della rivoluzione delle donne argentine

Movimenti che si sono propagati in tutta l’America Latina e non solo: ecco cosa c’è dietro alla mobilitazione – di anni – che porta fino alla depenalizzazione dell’aborto annunciata dal presidente Fernandez

Questa potrebbe essere la volta buona. Dopo anni di lotte e manifestazioni, dopo la nascita di un movimento che dall’America Latina ha trovato forza e propagazione in tutto il mondo, entro pochi giorni l’Argentina potrebbe (davvero) diventare il primo Paese latino-americano a garantire l’interruzione legale della gravidanza. Il presidente Alberto Fernandez ha infatti annunciato l’intenzione di presentare un disegno di legge per legalizzare l’aborto: «Voglio affrontare un argomento di cui discutiamo da molto tempo». Già. Molto tempo. E molte manifestazioni di piazza. Fernandez, fresco presidente – si è insediato a inizio dicembre 2019 – si appresta a completare un iter che stava per concludersi anche nel 2018, quando però, dopo l’approvazione della Camera, il Senato, più conservatore, aveva poi rigettato il progetto di legge per la legalizzazione dell’aborto entro la quattordicesima settimana di gravidanza.


In copertina EPA/Enrique Garcia Medina | Manifestazione per chiedere la legalizzazione dell’aborto, Buenos Aires, Argentina, 19 febbraio 2020

La campagna elettorale

EPA/Juan Ignacio Roncoroni | Il presidente argentino Alberto Fernandez alla sessione di apertura del Congresso a Buenos Aires, Argentina, 1 marzo 2020

Quello dell’aborto depenalizzato è un tema rivendicato ormai da anni da parte dell’opinione pubblica del Paese, ed era destinato a essere fin da subito un passaggio significativo, dopo le elezioni dello scorso 27 ottobre e con un nuovo inquilino alla Casa Rosada. «Non è un tema morale o religioso», ma di salute pubblica, aveva detto Alberto Fernandez durante la campagna elettorale. A favore delle «due vite» si era invece proclamato il suo predecessore durante la corsa (fallita) per la rielezione, l’italico Mauricio Macri. Quello delle “due vite” è lo slogan degli antiabortisti argentini, quel popolo azzurro fortemente sostenuto dalla Chiesa il cui “bollino” recita «Salvemos las dos vidas» e che per mesi si è opposto in piazza alla marea verde per la legalizzazione, che chiede invece «Educación sexual para decidir, anticonceptivos para no abortar, aborto legal para no morir». Oggi in Argentina la legge – che risale al 1921 – permette l’aborto solo in caso di stupro o di pericolo di vita per la donna. E nemmeno: solo un anno fa una bambina di 11 anni, rimasta incinta dopo essere stata violentata dal compagno 65enne della nonna, partoriva con un cesareo d’urgenza. Altro che aborto.


EPA/Enrique Garcia Medina | Una manifestante mostra il foulard verde della Campagna per l’aborto “legale, sicuro e gratuito” durante una manifestazione per chiedere la legalizzazione dell’aborto, Buenos Aires, Argentina, 19 febbraio 2020

Pur essendo stata richiesta l’applicazione del protocollo ILE – Interrupción legal del embarazo – per la bambina (che aveva anche tentato il suicidio), le autorità locali, secondo la ricostruzione fornita dall’avvocata della famiglia, avevano «ritardato il processo e cercato di persuadere la bambina a continuare la gravidanza». Una tortura istituzionale – così è stata definita – durata più di un mese: all’undicenne, in quei giorni, venivano addirittura dati ormoni per favorire la crescita del feto. Insomma: la vita a tutti i costi, e a discapito di un’altra. In un Paese in cui le donne che ricorrono all’aborto clandestino rischiano di essere condannate con una pena fino a quattro anni di carcere.

Il movimento

La svolta, se davvero svolta sarà, nel Paese che ha dato i natali a Papa Francesco, è il frutto della costante e crescente mobilitazione delle donne argentine, che da anni scendono in piazza e lottano per i diritti riproduttivi e le pari opportunità, contro patriarcato e femminicidi, qui dove ogni 29 ore viene uccisa una donna.

«Le argentine si stanno battendo per i loro diritti e le loro vite», dice di loro Margaret Atwood, la scrittrice canadese autrice de Il racconto dell’ancella. Per quel romanzo del 1985 – che nel 2017 diventa la serie televisiva statunitense The Handmaid’s Tale ideata da Bruce Miller – Atwood racconta di essersi ispirata – tra l’altro – proprio all’Argentina degli anni ’70.

WIKIMEDIA/Agustina Girardo | Manifestazione a Santa Fe per l’aborto sicuro e legale, 5 agosto 2018

Quello che il romanzo racconta è distopico fino a un certo punto. Fantasia non è: come ricorda Sylvia Colombo sul quotidiano brasiliano Folha de S. Paulo tradotto qui da Internazionale, durante la dittatura militare in Argentina (dal ’76 al 1983) centinaia di donne incinte, appartenenti alla resistenza al regime, erano state imprigionate. Venivano tenute in vita fino al parto e i loro figli consegnati a famiglie di militari che non riuscivano ad averne. Poi venivano uccise, così come erano già stati ammazzati i loro compagni. Incubatrici, non donne. Un po’ come, quarant’anni dopo, quella bambina di 11 anni stuprata e madre per forza.

Il 28 maggio dello scorso anno in Argentina era stato di nuovo (e per l’ottava volta) presentato al Congresso un disegno di legge per la legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza. La data coincide con la giornata internazionale della Salute delle donne e con la nascita della campagna per l’aborto gratuito, libero e sicuro, lanciata nel 2005 dai movimenti femministi e che trova oggi ormai, il sostegno di molti deputati e deputate. «Proponiamo un’amnistia per chi è in carcere» per aver abortito o aver aiutato ad abortire «e un risarcimento per loro e per le famiglie di coloro che sono morte per aborti non sicuri causati dalla criminalizzazione portata avanti dallo Stato», si legge sul sito della campagna. Secondo i dati ufficiali, ogni anno vengono eseguiti 354.627 aborti, si legge ancora. 29mila al mese, 985 al giorno, 41 all’ora. «Sono 487.695 da quando il Senato ha respinto la legge l’8 agosto 2018 e saranno 98.500 alla fine dei primi 100 giorni di un nuovo governo».

I Paesi che hanno una legislazione più restrittiva sull’aborto hanno un tasso di mortalità materna tre volte più alto degli altri, con 223 donne morte contro 77 ogni 100mila nascite. La principale causa di morte delle adolescenti in tutto il mondo è rappresentata ancora dalle complicazioni di gravidanza e parto. Nel 2018 e nel 2019 la prima firmataria della proposta di legge per l’«interruzione volontaria di gravidanza» è stata la prima figlia di desparecidos a sedere in Parlamento: la deputata Victoria Donda Pérez, nata all’interno dell’ex Esma, il «Centro clandestino di detenzione, tortura e sterminio» degli anni della dittatura militare e figlia dei desaparecidos José Donda e María Pérez.

Video Facebook/Victoria Donda Pérez

Il fazzoletto verde

A Plaza del Congreso, le donne (e non sono loro) sono tornate a manifestare ogni volta. Giovanissime, giovani e meno giovani, hanno colorato di verde le strade intorno al palazzo del Congresso di Buenos Aires, sovrastando l’azzurro degli antiabortisti, scesi in piazza a loro volta nell’ultima fase della presidenza di Macri e in occasione del voto del Senato, forti dell’appoggio della Chiesa cattolica. Il simbolo della battaglia per l’aborto legale è il pañuelo verde. Il colore viene chiamato “verde “Benetton” e viene scelto nel 2003 in Argentina, un po’ per caso, un po’ no. Le sostenitrici della campagna nazionale pro-aborto, si narra, si preparavano per il diciottesimo Incontro Nazionale delle Donne dal 16 al 18 agosto di quell’anno nella città di Rosario: non avevano abbastanza tela viola, che è il colore delle femministe in tutto il mondo.

Quindi che fare? La direttrice dell’Istituto di genere, sviluppo e diritto di Rosario, Susana Chiarotti, parla al telefono con Marta Alanis, della ong cattolica per il Diritto a Decidere. «Con Susana abbiamo entrambe concordato di promuovere l’uso del fazzoletto che potrebbe essere verde, non neutro, e che è legato alla speranza e alla salute», dice Alanis, in un documentario radiofonico della Radio Universidad de Rosario. La scelta del verde da un lato è casuale – si tratta infatti, secondo le ricostruzioni dei media argentini, del colore della tela che avevano a disposizione – ma coincide anche con il colore associato alla vita, alla salute e alla speranza, temi chiave nella lotta per il diritto all’autodeterminazione. Ed è un colore, questo il ragionamento, non collegato a livello internazionale ad altre specifiche lotte politiche o a bandiere.

EPA/Demian Alday Estévez | Una manifestazione per l’aborto “legale, sicuro e gratuito” a La Plata, Argentina, 12 ottobre 2019

E il pañuelo, il fazzoletto? Richiama quello, bianco, che portano le madri e le nonne di Plaza de Mayo, i movimenti che dal 1977 lottano per i desaparecidos della dittatura argentina e per identificare i tanti bambini nati durante quegli anni, sottratti appena nati alle famiglie e “dati in adozione” a militari o persone vicine al regime. All’inizio il movimento faceva produrre 8mila fazzoletti verdi. Nel 2018, 200mila. E il pañuelo verde scavalca i confini. In Messico, per esempio, le manifestanti lo usano nelle loro proteste per chiedere il diritto alla salute pubblica, in un paese dove ci sono più di 750mila aborti illegali all’anno.

EPA/Juan Ignacio Roncoroni | Una manifestante durante una protesta per chiedere la legalizzazione dell’aborto, Buenos Aires, Argentina, 28 maggio 2019

La marea verde nata in Argentina tocca sempre più Paesi con un vero e proprio movimento per le strade dell’America Latina in occasione, per esempio, della Giornata per l’aborto sicuro, il 28 settembre. Intrecciandosi a Non Una Di Meno, Ni Una Menos, il movimento femminista che attraversa i continenti.

In copertina EPA/Enrique Garcia Medina | Manifestanti con i foulard verdi durante una manifestazione per chiedere la legalizzazione dell’aborto, Buenos Aires, Argentina, 19 febbraio 2020

* Si ringrazia Stefania Cingia

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