Coronavirus. Perché si parla del “paziente zero” tedesco? Facciamo chiarezza

Il focolaio tedesco in che modo potrebbe collegarsi a quello italiano? Perché ne parliamo adesso?

In una lettera pubblicata dal New England Journal of Medicine da diversi medici il 30 gennaio scorso (aggiornata il 6 febbraio), si segnala il caso di un paziente tedesco di 33 anni che presentava diversi sintomi associabili a una forma di influenza, registrati a partire dal 24 gennaio. Il giorno dopo gli venne riscontata febbre alta (39°C) e tosse. Il terzo giorno le sue condizioni cominciarono a migliorare e tornò al lavoro il 27 gennaio.

Ma forse i suoi non erano i sintomi di una influenza qualsiasi. Tra il 20 e il 21 gennaio ebbe modo di frequentare un socio cinese nella sua azienda di Monaco. Quando quest’ultimo – in Germania dal 19 al 22 gennaio – tornò a Shanghai, si ammalò durante il volo, e all’arrivo risultò positivo a quello che ancora veniva definito 2019-nCoV.

Il paziente tedesco, ormai guarito, venne sottoposto al test il 27 gennaio, risultando positivo. Si è trattato quindi di un caso di contagio da paziente asintomatico. Intanto l’uomo aveva contagiato altri tre dipendenti della sua azienda: tutti casi non gravi e risultati positivi al nuovo coronavirus.

Perché ne stiamo riparlando? 

Il caso non è mai stato un mistero, lo aveva già riportato tempestivamente la stampa tedesca. (Qui il nostro articolo).

La lettera presenta a destra della pagina Web la data del 5 marzo, ma in fondo al testo viene riportata quella corretta, di pubblicazione e aggiornamento: «This letter was published on January 30, 2020, and updated on February 6, 2020, at NEJM.org».

Attraverso una ricerca a ritroso nel tempo con WebArchive possiamo risalire alla versione iniziale, che riporta la data del 30 gennaio 2020. Forse questo aggiornamento della data ha tratto in confusione qualche testata che ha ripreso la notizia?

Quale potrebbe essere la notizia?

La notizia forse è che Trevor Bedford del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle, ha studiato sul sito Nextrain la filogenesi del coronavirus, riscontrando un collegamento tra i casi italiani e quelli avvenuti per la prima volta in Germania; come riportavamo anche noi in un precedente articolo.

L’esistenza stessa di questi dati sullo sviluppo dei ceppi di SARS-CoV2 infatti, rendono l’ipotesi di un «virus padano» – ovvero autoctono ed erroneamente scambiato per un ceppo italiano – estremamente improbabile. 

Attenzione però: Bedford non avanza direttamente l’ipotesi di un coronavirus arrivato dalla Germania all’Italia, come riportato in alcune testate.  

Contagio da pazienti asintomatici

Anche della possibilità di una trasmissione del virus da soggetti asintomatici è una questione ampiamente nota, ed è probabile che gli esperti che ce ne hanno parlato si basassero anche su documenti come la lettera di cui si parla, da alcune testate presentata erroneamente come fresca di pubblicazione.

Foto di copertina: Nextstrain | Il focolaio di Covid-19 in Germania.

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