Una nuova via per i teorici del nuovo coronavirus «ingegnerizzato in laboratorio»? No! Ecco cosa dice l’articolo di Nature

Continua nella stampa l’uso improprio di articoli scientifici, allo scopo di alimentare dubbi sull’origine del SARS-CoV2

Ancora un articolo che potrebbe alimentare le tesi di complotto sul nuovo Coronavirus. Sulla versione cartacea de Il Fatto Quotidiano del 2 marzo compare il titolo «Wuhan, quel virus fatto in laboratorio».

L’articolo è ora disponibile nella versione online con un titolo differente: «Wuhan e il complotto – Ecco perché gli scienziati non credono il virus sia uscito da un laboratorio».

Tuttavia nel testo non è molto chiara la ragione per cui gli addetti ai lavori non possono ritenere questa tesi valida. Nel cartaceo una nota spiega che un non meglio precisato studio ritiene «improbabile un legame con l’esperimento in questione, ma non si può comunque escludere la possibilità».

Il Fatto Quotidiano, edizione cartacea | Wuhan, quel virus fatto in laboratorio.

Di quale studio parla Il Fatto?

Su Twitter la richiesta dello studio era stata presentata all’autrice dell’articolo al fine di poterlo visionare. La discussione in merito alla consultazione si era fatta in qualche modo animata da parte di colleghi giornalisti e dell’economista Michele Boldrin.

«Helloooooo @lauramarg … questi scienziati? Questi articoli su Nature e Lancet, quando ce li fai vedere?» scrive in un tweet Michele Boldrin rivolgendosi all’autrice dell’articolo del Fatto.

In presenza di un articolo che, per come presentato, pone una tesi senza andare oltre, avviando di conseguenza le richieste dei lettori, cerchiamo di precisare come mai gli scienziati la ritengono una tesi infondata e perché possiamo escludere del tutto la possibilità.

Il titolo dell’articolo online de Il Fatto Quotidiano, diverso da quello cartaceo.

La tesi del virus ingegnerizzato

L’articolo esordisce usando per definire il virus il termine «Coronavirus-19», forse riferendosi al termine Covid-19, che però definisce la malattia provocata dal SARS-CoV2. Prosegue poi facendo un parallelo coi presunti pericoli di pandemia derivati da un settore della ricerca scientifica denominata «Gain-of Function (GoF)»:

«È un campo controverso, quello della ricerca GoF, sia per la pericolosità che la creazione in laboratorio di nuovi patogeni pone, sia per la mancanza di trasparenza e di controllo da parte della società civile, specie in paesi poco trasparenti per definizione, come la Cina o la Russia.

Ma anche gli Usa. Spesso si tratta di ricerche in ambito militare o secretate per questioni di sicurezza nazionale, oppure finanziate con fondi pubblici a seguito della pubblicazione di bandi, ma in assenza di una reale ed affidabile valutazione del rischio».

Come esempio viene citato un articolo di Nature Medicine del 2015, riguardante la creazione di un chimera-virus, «cioé una versione ibrida – continua Il Fatto – tra un ceppo di Coronavirus originariamente del pipistrello (l’SHC014) e uno simile a quello che causa la Sars nell’uomo (Sindrome respiratoria acuta grave).

Il virus così creato mostrava di essere in grado di infettare le cellule delle vie respiratorie umane». Quindi Il Fatto prosegue facendo notare che tra gli autori dello studio vi sono anche ricercatori provenienti dal laboratorio di bio-sicurezza di Wuhan.

Abbiamo analizzato lo studio, scoprendo alcune cose interessanti. Tra i firmatari troviamo effettivamente anche Shi Zhengli: la virologa grazie ai suoi studi sui coronavirus dei pipistrelli, ha dato un contributo importante contro il virus attuale.

Oggi Zhengli deve far fronte alle accuse di essere l’untrice dell’epidemia. L’articolo di Nature del 2015 viene infatti menzionato in diverse testate orientali, facendo riferimento a presunte controversie sui pericoli dovuti a esperimenti di quel tipo.

Possiamo escludere eccome la possibilità

Lo studio in questione riguarda la glicoproteina spike SHC014 appartenente a un coronavirus tipico dei «horseshoe bat», ovvero i pipistrelli «Rhinolophus». Il virus chimerico è stato realizzato facendo esprimere a un coronavirus adattato nei ratti la spike del virus dei pipistrelli.

Questo ha dimostrato di potersi replicare in vivo nei polmoni dei topi, facendo altrettanto nelle colture in vitro con cellule primarie delle vie respiratorie umane.

Così i ricercatori suggeriscono il potenziale rischio che un virus come quello tipico della Sars, possa riemergere proprio dalle popolazioni di pipistrelli comunemente circolanti.

Inoltre, il genoma di SARS-CoV2 è noto, ed il virus è stato isolato in vari Paesi, compreso il nostro. Esistono diversi studi che attraverso l’Rna hanno ripercorso la genesi del virus. Si è discusso anche dell’ipotesi che come ultima tappa del suo sviluppo ci fossero i serpenti, ma tale versione è stata quasi subito accantonata dagli esperti.

Lo studio del 2015 è stato motivato – come spiegano i ricercatori – dal fatto che erano state già identificate negli studi metagenomici, sequenze appartenenti a virus imparentati coi SARS, nelle popolazioni di pipistrelli comunemente circolanti in Cina. 

Come è stato realizzato il virus chimerico

La spiegazione di come hanno realizzato il virus chimerico è importante per capire come sono andate le cose. Non si tratta di un virus tipico del pipistrello modificato, bensì di una sua proteina spike (come quella recentemente riprodotta in 3D), “innestata” in un coronavirus dei topi:

«Per esaminare il potenziale di emergenza – spiegano gli autori nella prima pagina dell’articolo – abbiamo creato un virus chimerico che codifica una nuova proteina spike di CoV zoonotica – dalla sequenza RsSHC014-CoV che è stata isolata dai pipistrelli a ferro di cavallo cinesi1 – nel contesto della spina dorsale adattata al SARS-CoV dei topi.

Il virus ibrido ci ha permesso di valutare la capacità della nuova proteina spike di causare la malattia indipendentemente da altre mutazioni adattative necessarie nella sua spina dorsale naturale».

Nessuno degli esperti che hanno studiato il genoma del SARS-CoV2 lo ha identificato col virus chimerico utilizzato nel 2015, tanto meno si fa riferimento a un coronavirus dei topi, ovvero un «mouse adapted SARS-CoV (MA15)». Questo particolare viene spiegato più chiaramente nella pagina dello studio relativa ai metodi utilizzati, in particolare nel paragrafo intitolato «Construction of SARS-like chimeric viruses».

I dati dello studio cozzano anche con altre tesi di complotto nate da altri più recenti rivelatisi errati, come quello che avrebbe trovato tracce dell’Hiv, o il preprint che dimostrerebbe la fuga del virus da un laboratorio di Wuhan, e non dal suo mercato ittico, ritenuto invece la più probabile origine dell’epidemia Covid-19.

Ecco perché l’articolo de Il Fatto dovrebbe riportare questa alternativa alla frase riportata nell’edizione cartacea: «improbabile un legame con l’esperimento in questione, si può comunque escludere la possibilità».

Sullo stesso tema: