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La seconda vita di Alba dorata. Sotto processo ad Atene dà la caccia ai migranti nelle isole

Dall'apertura di una sede a Lesbo, il movimento ha provato a riprendere consensi. Nonostante la pesante sconfitta nel 2019

Mentre la dirigenza di Alba Dorata, il partito neonazista greco, vive settimane drammatiche ad Atene dove i suoi leader sono sotto processo, i militanti stanno tentando di salvare il movimento facendo ciò che gli viene meglio: attaccare “i nemici della patria”. Gli ultimi giorni hanno visto un ripetersi di casi di violenza ai danni di migranti e di operatori delle Ong nelle isole dell’Egeo, dopo la decisione del premier turco Recep Erdogan di sfidare l’Europa, lasciando partire dalla Turchia migliaia di profughi (Siriani, ma non solo) che sognano un futuro europeo. Come risposta la Grecia li ha blindati con la forza facendo «da scudo», per usare la frase infelice di Ursula von der Leyen, all’Europa. Ma i migranti sono arrivati lo stesso nelle isole dell’Egeo dove i campi per i profughi ospitano migliaia di persone in più rispetto alle loro reali capacità. Ed è così che per il movimento si è presentata l’ennesima occasione “dorata” per tentare di riprendersi quel pezzo di Grecia che si sente abbandonato dallo stato.

Il processo ad Atene e il declino del movimento

Non è certo la prima volta dall’inizio della crisi dei migranti nel Mediterraneo che Alba Dorata cerca di capitalizzare sulle paure e le frustrazioni dei residenti di Lesbo o di Chios. Ma rispetto agli anni passati, il partito non gode di buona salute. Il 6 novembre 2019 è passato alla storia come uno dei momenti chiave del processo che vede sul banco degli imputati la leadership di Alba Dorata, nato dopo l’uccisione di un rapper anti-fascista Pavlos Fyssas nel 2013. È appropriato parlare della sua portata storica, visto che si tratta del più grande processo a un movimento di stampo nazista da Norimberga. Chiamato per la prima volta davanti ai giudici il 6 novembre, il segretario generale Nikolaos Michaloliakos ha negato tutto, scegliendo non solo di non difendere né le idee del movimento né i suoi componenti, ma anche di dichiararsi estraneo ai fatti.

Per il momento non ci sono ancora state condanne, ma il processo ha di fatto tagliato la testa al movimento, a cui sono stati anche sospesi i finanziamenti elettorali. I tempi d’oro, quando il partito di Michaloliakos vinse il 7% del voto nelle elezioni politiche del 2012, portando 18 deputati in parlamento, sono ormai lontani. La strada verso il successo elettorale era cominciata molti anni prima – il partito è stato fondato negli anni ’80 – ma è arrivato soltanto negli anni della crisi economica e della troika. Alba Dorata riuscì a conquistare consensi posizionandosi come forza anti-austerità (e quindi anche anti-Bruxelles e anti-establishment), sfruttando il senso di sfiducia nelle istituzioni e di frustrazione nei confronti della popolazione di migranti nel Paese, ancor prima che la crisi dei migranti nel Mediterraneo raggiungesse il suo apice tra il 2014 e il 2015.

Lo fece partendo da Atene, stabilendosi nel quartiere di Saint Pantaleimon dove le tensioni tra greci e immigrati erano particolarmente acute. Nel 2010 riuscì a far eleggere proprio Michaloliakos al consiglio comunale della città. Da movimento di nicchia, popolato principalmente dagli ultras del calcio, passò a essere un movimento di massa con tanto di deputati in parlamento. I metodi non erano quelli di un normale partito: i membri del nucleo centrale di Alba Dorata venivano formati per essere guerrieri, con tanto di ritiri nelle foreste e prove per temprare il fisico e la mente. Tutto questo mentre, grazie anche al risultato del 2012, Alba Dorata stava riuscendo a darsi un’aria di rispettabilità: da lì a poco alcuni membri del partito di centrodestra Nuova Democrazia avrebbero perfino preso in considerazione una possibile alleanza.

EPA/ORESTIS PANAGIOTOU – Il segretario generale di Alba Dorata, Nikolaos Machaloliakos, il 6 novembre 2019

Un’occasione “dorata”: il movimento punta le isole dell’Egeo

Quando Alexis Tsipras, leader del partito di sinistra Syriza, diede le sue dimissioni nell’agosto del 2015, Alba Dorata cercò di cogliere la palla al balzo in vista delle elezioni anticipate. Il 22 agosto sul sito del movimento apparve un comunicato stampa a firma di Michaloliakos: «Nelle isole dell’Egeo orientale si sta verificando un’invasione letterale e non vi è stata alcuna risposta da parte dello stato greco, che ha lasciato i nostri cittadini di frontiera in balìa degli invasori alieni. Date ad Alba Dorata la forza necessaria in modo che ci possa essere una soluzione al problema dell’immigrazione clandestina», recitava il comunicato. «Non abbiamo causato le loro guerre. Non abbiamo creato tutti questi rifugiati. La Grecia non può gestire altri immigrati illegali».

Alba Dorata inaugurò la sua sede a Lesbo nel maggio del 2014, sede piuttosto trascurata rispetto a quelle nelle isole occidentali nel Mar Ionio, come a Corfù. Con il deteriorarsi della crisi dei migranti, però, il partito ha spostato le sue attenzioni verso Est. Sull’isola hanno attaccato verbalmente più volte il sindaco e hanno cercato di organizzare disordini e scontri nel campo profughi di Moria. Le elezioni del 2015 furono vinte da Tsipras, ma Alba Dorata riuscì comunque ad arrivare terza, mantenendo un livello di consensi simile al 2012. Sull’isola crebbe dal 5 all’8 percento.

Ma i suoi sforzi incontrarono resistenza: nel novembre del 2016 i lavoratori delle Ong locali insieme a pubblici ufficiali e altri residenti dell’isola, organizzarono una manifestazione che finì per accelerare la dipartita del movimento dall’isola. Altri fattori furono decisivi: il processo stava impoverendo e il partito fu costretto a chiudere la sede principale di Atene nel 2017. Anche l’accordo siglato dall’Unione europea con la Turchia nel 2016 – per cui l’Ue si era impegnata a pagare 6 miliardi di euro alla Turchia entro il 2019 in cambio di in cambio della “gestione dei profughi” – aveva diminuito gli arrivi di profughi sulle isole, aiutando a contenere le tensioni con la popolazione locale.

Nonostante questo, negli ultimi anni le cronache dei campi profughi sovraffollati sono comunque state cadenzate dal racconto di episodi di violenza per mano di militanti di Alba Dorata, che hanno infiltrato o appoggiato gruppi locali. Nell’aprile del 2018 per esempio, un gruppo di militanti di un’altra organizzazione di estrema destra, il Movimento Patriottico, ha attaccato dei migranti nella città di Mitilene a Lesbo, ferendo 12 persone. In alcune occasioni sono stati aiutati anche da militanti di estrema destra da altri Paesi: il 6 marzo 2020 dieci militanti tedeschi e austriaci del Movimento Identitario sono stati intercettati dai servizi di sicurezza greci. Un altro gruppo è riuscito ad arrivare a Lesbo – sull’isola ci sono più di 20.000 persone nel campo di Moria che ha una capacità di 2.840 – una settimana prima.

Gli attacchi delle ultime settimane sono soltanto i più recenti in una lunga fila di episodi analoghi che non riguardano soltanto Lesbo: a Chios ad esempio un gruppo di persone ha appiccato il fuoco al deposito di Stay Human Odv, una Onlus che dal 2018 gestisce la distribuzione di beni e servizi nel campo di Vial. Nei giorni precedenti un gommone che trasportava 49 persone (18 i bambini) è stato preso d’assalto da un motoscafo. Alla guida c’erano degli uomini con il volto mascherato. Anche gli operatori delle Ong sono bersaglio di attacchi: a Lesbo il 3 marzo un gruppo di medici è stato attaccato da una folla che brandiva randelli dalla testa chiodata.

Non tutti gli attacchi possono essere attribuiti soltanto ai gruppi di estrema destra – a fine febbraio centinaia di residenti delle isole si sono scontrati con la polizia dopo una manifestazione contro i campi profughi – ma i militanti del movimento stanno cercando di capitalizzare sulle nuove tensioni che sono esplose a febbraio. Eppure, Alba Dorata pare essere in fase di declino terminale. Alle elezioni del 2019, il movimento ha subito una sconfitta pesantissima: ha ottenuto soltanto il 2,9%, meno quindi della soglia di sbarramento del 3%. In parlamento è rimasto un solo deputato, che però con l’inizio della legislatura ha lasciato il partito per mettersi in proprio.

«Stiamo inviando un messaggio ai nostri nemici e ai cosiddetti amici: Golden Dawn non è finito; fatevene una ragione. La lotta per il nazionalismo continua», ha dichiarato all’indomani della sconfitta Michaloliakos. Ma, come aveva commentato al tempo il capo dei sondaggisti di MRB, Dimitris Mavros, «L’elemento di rabbia (tra gli elettori greci) non è più qui. I greci hanno capito che il sistema deve essere fissato affinché il Paese possa andare avanti». Sarà, ma gli eventi delle ultime settimane mettono a dura prova questa tesi.

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