Zona rossa in tutta la Lombardia e 11 province del Nord: il decreto sul tavolo di Conte

di OPEN

Ma Fontana e Bonaccini frenano: «Alcune parti del provvedimento sono di dubbia interpretazione e di difficile immediata applicazione». Zaia: «Se la bozza non cambia presenteremo osservazioni»

Emergenza Coronavirus: chi ha potuto leggere la bozza del Dpcm (l’acronimo per Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) che è ora sul tavolo di Conte, lo descrive come il provvedimento più drastico mai deciso nella nostra storia repubblicana. Il titolo è «Misure urgenti di contenimento del contagio nella regione Lombardia e nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Venezia, Padova, Treviso, Asti e Alessandria sono adottate le seguenti misure». Si dovrebbero decidere divieti di uscita e di entrata e altre forti limitazioni nell’intera Regione Lombardia, ma anche nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia e Rimini in Emilia-Romagna, di Pesaro e Urbino nelle Marche, di Venezia, Padova e Treviso in Veneto e di Asti e Alessandria in Piemonte.


I governatori frenano

«La bozza del provvedimento del governo che ho ricevuto solo in serata sembra andare nella direzione del contenimento della diffusione del virus, invitando, con misure più incisive, i cittadini alla prudenza» ma «non posso non evidenziare che la bozza del decreto del presidente del Consiglio è, a dir poco, pasticciata», dice a caldo il presidente della Lombardia Attilio Fontana. «Siamo comunque in contatto con i rappresentanti del Governo per cercare di mettere i cittadini e le categorie sociali in condizione di capire cosa possono fare domani. Abbiamo inviato a Roma le nostre osservazioni e la collaborazione tra i nostri tecnici e quelli di Palazzo Chigi è costante».


«Alcune parti del provvedimento possono risultare di dubbia interpretazione e domani di difficile applicazione. C’è addirittura chi ci sta chiedendo se lunedì potrà recarsi o meno al lavoro o se verrà introdotto il fermo produttivo», dice il presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, a proposito del decreto sul contenimento del Coronavirus. «Ben comprendendo – ha aggiunto – che queste nuove limitazioni sono dettate da indicazioni imprescindibili del Comitato tecnico-scientifico e condividendo l’obiettivo di contenere con ogni mezzo la diffusione del virus, riteniamo necessario poter meglio valutare la coerenza dei provvedimenti, che impattano peraltro in modo disomogeneo sul nostro territorio regionale», dice Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna, a proposito della bozza.

«Ho chiesto al presidente Conte e al ministro Speranza, in una logica di leale collaborazione, di poter lavorare ancora alcune ore per addivenire alle soluzioni più coerenti e condivise». «Se il decreto venisse approvato così noi comunque presenteremmo un provvedimento da parte del nostro comitato scientifico di supporto all’unità di crisi per argomentare rispetto alla creazione delle tre zone in Veneto, Venezia, Padova e Treviso», dice all’Ansa il governatore Zaia. «A noi sta a cuore prima di tutto la salute dei cittadini, ma per applicare un decreto bisogna che le norme siano chiare. Abbiamo visto questo provvedimento all’ultimo minuto, non abbiamo partecipato alla redazione preventiva e ci chiedono di confermarlo nel giro di breve: è letteralmente impossibile». «Dall’altro lato – prosegue Zaia – dico che sarebbe stato più logico attivare una serie di restrizioni, alla luce dell’evolversi della situazione dell’emergenza, ma che siano uguali su tutto il territorio nazionale».

La bozza

La misura più drastica è quella che impone di evitare in modo assoluto ogni spostamento in entrata o in uscita da quelle zone, ma anche all’interno degli stessi territori se non per indifferibili esigenze lavorative o situazioni di emergenza fino al 3 aprile.

I punti cruciali della bozza sul tavolo del premier

Non è ancora definitiva ma, la bozza di decreto impone di evitare tutti gli spostamenti verso l’esterno e l’interno delle zone citate, se non motivati da improrogabili esigenze di lavoro.

Ecco la bozza:

Scuole e locali chiusi fino al 3 aprile

Scuole chiuse fino al 3 aprile. Locali come discoteche, musei, iniziative culturali restano chiusi, come chiusi sono gli impianti da sci nelle zone sciistiche. Chiusi i grandi magazzini nei giorni festivi mentre restano aperti i bar, con l’obbligo della distanza di sicurezza e di seguire tutte le indicazioni generali previste dalle istituzioni. Fino al 3 aprile poi «sono sospese tutte le cerimonie civili e pubbliche, comprese quelle funebri».

«Nelle giornate festive e prefestive sono chiuse le medie e grandi strutture di vendita, nonchè gli esercizi commerciali presenti all’interni dei centri commerciali e dei mercati».

«Sono consentite le attività di ristorazione e dei bar, con obbligo, a carico del gestore, di far rispettare la distanza di sicurezza interpresonale di almeno un metro, con sanzione della sospensione dell’attività in caso di violazione», si legge nella bozza.

«Le disposizioni del presente decreto producono il loro effetto dalla data dell’8 marzo 2020 e sono efficaci fino al 3 aprile 2020», si legge

I punti

Tra i punti c’è la sospensione delle «procedure concorsuali pubbliche e private ad esclusione dei casi in cui la valutazione dei candidati è effettuata esclusivamente su basi curriculari ovvero in modalità telematica; sono inoltre esclusi dalla sospensione i concorsi per il personale sanitario, ivi compresi gli esami di Stato e di abilitazione all’esercizio della professione di medico chirugo, e quelli per il personale della protezione civile, i quali devono svolgersi preferibilmente con modalità a distanza o, in caso contrario garantendo la distanza di sicurezza interpersonale di un metro:

Niente palestra nelle zone citate: «Sospese le attività di palestre, centri sportivi, piscine, centri natatori, centri benessere, centri termali, centri culturali, centri sociali, centri ricreativi». Per le visite, «l’accesso di parenti e visitatori a strutture di ospitalità e lungo degenza sarà limitato ai soli casi indicati dalla direzione sanitaria della struttura». Il prefetto, ove occorra, si avvale delle forza di polizia, con il possibile concorso del corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché delle forze armate. Salvi che il fatto costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di cui al prsente decreto è punito ai sensi dell’articolo 650 del codice penale come previsto dall’articolo 3, comma 4, del decreto legge 23 febbraio 2020, n.6».

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