Gli Stati Uniti piangono la morte di Greg Zanis, «l’uomo croce»: costruiva memoriali per le vittime delle sparatorie di massa

Nato a Chicago, l’uomo aveva cominciato ad attraversare gli Stati Uniti, costruendo croci in onore dei morti, già nel 1999. Da ieri sono stati in molti a commemorare la sua morte

Attraversava gli Stati Uniti da un lato all’altro, piantando croci per commemorare i morti. Soprattutto i morti “scomodi”, come le vittime delle sparatorie nelle scuole, che una parte del Paese avrebbe preferito dimenticare, relegandone il ricordo a un angolo buio della memoria. Adesso però sono gli Stati Uniti a piangere la morte di Greg Zanis, 69 anni. Lunedì 4 maggio, come scrive il New York Times, è deceduto a causa di un cancro alla vescica «l’uomo croce», chiamato così proprio per quella sua abitudine a costruire delle piccole croci bianche con cui si piangono i morti.  


Da carpentiere itinerante, con le sue mani ne ha realizzate più di 26mila in diversi Stati. È la sua versione di quel sogno americano che esiste soltanto “sulla strada”, che si alimenta dello spostamento perpetuo, pionieristico, che da secoli spinge uomini e donne da una parte all’altra del Paese alla ricerca del profitto, della libertà, di una verità. Non a caso in più Stati le istituzioni e la politica hanno rivolto a Zanis un ultimo saluto. Tra questi c’è il Governatore del Nevada, Steve Sisolak, che ha voluto ricordare come Zanis venne in soccorso – munito di legno e chiodi – quando il Nevada «aveva bisogno di cure», dopo che nell’ottobre del 2017 un uomo aprì fuoco contro una folla di spettatori al Route 91 Harvest music festival di Las Vegas, uccidendo 58 persone e ferendone 413.


Anche l’FBI di El Paso, Texas, lo ha voluto ringraziare per un gesto analogo: Zanis aveva intrapreso la strada verso Sud per costruire dei memoriali in onore delle 23 vittime di una sparatoria di massa avvenuta in un negozio Walmart ad agosto nel 2019. La storia di Zanis è in parte anche la storia del terrorismo domestico, del commercio di armi fuori controllo, dell’alienazione giovanile e dei disastri ambientali.

I nomi degli eventi ricordati dai suoi memoriali sono pietre miliari nella storia della violenza armata made in Usa, ma anche delle tragedie collettive che colpiscono gli innocenti. Si va dalla maratona di Boston nel 2013, in cui due bombe “fatte in casa” e detonate sulla folla – come conseguenza dell’azione militare americana in Afghanistan e in Iraq – uccisero tre persone e ne ferirono centinaia, alla sparatoria di Lee County in Alabama dove 23 persone morirono a causa di un tornado l’anno scorso. In mezzo c’è anche il massacro nella scuola elementare di Sandy Hook del 2012, nel Connecticut, in cui morirono circa 20 persone tra studenti e insegnanti. 

Ma la sua è anche una storia di grande dolore e sofferenza personale, macchiata da morti violente, tragiche, inaspettate. Come nel caso di una delle sue figlie, morta per overdose nel 2018, e di cinque suoi vicini di quartiere – ad Aurora, Chicago – vittime di una sparatoria sul lavoro. Incidenti, episodi che hanno aggiunto dolore personale a quello collettivo, contribuendo ad eliminare le distinzioni fra i due, proprio come Zanis ha sempre testimoniato. Dolore cui aveva cercato di porre rimedio attraverso la sua attività benefica: Crosses for Losses. Un sentimento più facilmente comprensibile oggi, in tempi di epidemia, dove la conta quotidiana dei decessi fa parte della quotidianità di milioni di cittadini, ma che Zanis aveva reso suo sin dal 1999.

Foto di copertina: GoFundMe

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