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Accusati di diffondere il Covid-19, sottoposti a turni infiniti, la vita dei corrieri dopo l’emergenza: «Abbiamo messo a rischio la salute per voi»

04 Luglio 2020 - 08:29 Felice Florio
Viaggio nel mondo di chi consegna i pacchi ogni giorno, durante e dopo il lockdown. Tra attimi di panico e controlli di sicurezza dopo il caso Bartolini a Bologna. E c'è chi dice: «È uno dei lavori più belli al mondo»

A Bologna, nel centro di smistamento Bartolini, sono 107 i lavoratori trovati positivi al Coronavirus. Il “focolaio dei corrieri”. E l’odio sociale, lo scorso 29 giugno, si è manifestato con un gesto profondamente discriminatorio ai danni di un dipendente dell’azienda. Di prima mattina, sul parabrezza del suo furgone, l’uomo ha trovato un cartello con scritto «untore».

Ma i corrieri, insieme ai rider, ai medici, agli infermieri, agli autisti dei mezzi pubblici, non erano chiamati “eroi” quando tutti gli altri erano chiusi in casa per il lockdown? Mentre le città sembravano congelate, i camion le attraversavano per consegnare beni di prima necessità e frivolezze acquistate per noia da qualche shop online. Alla loro guida, ad aprire il furgone sul retro, a prendere il pacco e a lasciarlo sull’uscio di casa, ci sono sempre state persone che non hanno mai smesso di lavorare.

Anzi, l’impegno è aumentato proporzionalmente all’incremento dei volumi di merce acquistata su internet. «Il settore della logistica è uno dei pochi a essere cresciuto durante il lockdown. Vista la situazione – spiega Massimo Colognese, segretario generale della Filt Cgil Emilia-Romagna -, bisognerebbe investire quei profitti nella qualità del lavoro dei corrieri e nella sua sicurezza».

Il cartello lasciato sul camion di un driver che lavora presso la Brt – Bartolini di Bologna, centro di smistamento dove è scoppiato un focolaio Covid

Non tutti i lavori legati al trasporto e alla consegna di merci sono uguali. Il coronavirus ha impattato diversamente sugli autotrasportatori che si occupano di rifornire le aziende e sui driver che lavorano nella cosiddetta logistica urbana dell’ultimo miglio. Fabrizio Felli, corriere per Bartolini, guida mezzi di grandi dimensioni e la sua attività è quasi esclusivamente indirizzata alle imprese. «Nelle zone industriali non è cambiato molto il lavoro durante e dopo l’emergenza», dice.

«Per noi il periodo natalizio non è mai finito»

«Nel magazzino sono applicati i protocolli di sicurezza e ci si misurano la temperatura prima di entrare – assicura Felli -, solo nella prima fase dell’emergenza, effettivamente c’erano state delle difficoltà per procurarsi gel e mascherine». L’autotrasportatore consegna 20-22 colli al giorno, una media ben più bassa di quella citata dal segretario della nazionale della Filt Cgil, Michele De Rose che quando si parla di piccoli pacchi e consegne casa per casa: «Occorre ridurre l’orario di lavoro – chiosa -, consegnare 140-150 pacchi al giorno comporta uno stress elevato, in condizioni complesse come le grandi città».

Il segretario si riferisce principalmente ai driver cittadini, per i quali il lavoro è stato stravolto dall’emergenza. Stefano Gorelli, corriere di Firenze, accosta il furgone dell’Ups, azienda per la quale lavora, e pensa ai ritmi vissuti durati il lockdown: «È stato come vivere un periodo natalizio che è durato tre mesi in più. Sono aumentati i volumi dei pacchi da consegnare e, di conseguenza, il carico di lavoro. Ma la gente aveva bisogno di noi». Anche Gorelli non teme di essere contagiato sul luogo del lavoro, «i protocolli di sicurezza sono stati implementati e la situazione appare abbastanza sotto controllo».

Stefano Gorelli, driver per Ups

«I magazzini sono per forza dei luoghi di lavoro a rischio»

Racconta che nella città di Firenze hanno contratto il coronavirus un paio di colleghi, «ma lavorano per altre aziende della logistica e si tratta di casi isolati», ribadisce. Il caso dell’impianto Bartolini di Bologna appare un unicum nel Paese, per il momento. Il sindacalista Colognese, che lo sta seguendo per conto della Cgil, sostiene che «il problema – del cluster di Bologna – è di carattere squisitamente sociale. Buona parte dei lavoratori che frequentano l’hub abita nelle stesse case».

«Al di là del luogo di lavoro – continua il segretario regionale Filt Cgil -, una volta che tornano nelle loro abitazioni, stanno insieme in spazi ristretti. Generalmente, si tratta di lavoratori che provengono da altri Paesi e, per ragioni economiche, scelgono di abitare in appartamenti di 10-12 persone». Resta il fatto che i magazzini dove i corrieri si dirigono ogni giorno, sono luoghi di lavoro più a rischio di altri. «Il magazzino dove vengono smistati i pacchi è, per forza di cose, un luogo di lavoro a rischio perché ci transitano tantissime persone», dice Maurizio Diamante, segretario nazionale della Fit-Cisl.

L’impressione comune dei sindacalisti è che «in generale, con la compressione dei tempi per l’effetto dell’aumento dei volumi dell’ecommerce, i fenomeni di poca sicurezza ci sono stati», sintetizza Colognese. Il segretario Fit-Cisl aggiunge che «il caso della Brt a Bologna, nonostante le aziende abbiano recepito i protocolli di sicurezza stipulati tra governo e federazioni il 14 e il 20 marzo, ci ricorda che non possiamo abbassare la guardia contro questo virus».

Massimo Colognese, segretario regionale Filt Cgil Emilia-Romagna

«Abbiamo vissuto una fase di panico»

Per Diamante non esistono hub di smistamento più a rischio di altri, ma la valutazione va fatta «a seconda della diffusione dell’epidemia nel territorio sul quale insiste e opera il magazzino. Per esempio – ricorda -, le imprese che lavorano nella logistica a Lodi o a Piacenza, che sono due capitali del settore in Italia, hanno dovuto attrezzarsi in modo più stringente rispetto ad altre zone del Paese, ed è stato molto complicato». Gorelli, fermo a bordo del suo furgone, ritorna con il pensiero ai momenti in cui il virus si stava diffondendo al punto da rendere l’Italia il Paese più colpito al mondo: «Nella filiale fiorentina dell’Ups c’è stato un momento iniziale di panico».

Andare al lavoro era diventato complicato anche per la pressione psicologica: «Dopo quel periodo in cui avevamo tutti paura anche della nostra ombra, ho notato che i miei colleghi si sono divisi in due categorie di persone. C’è chi è ancora molto impaurito e spesso adotta precauzioni eccessive, e c’è chi invece ha iniziato a sottovalutare la questione sanitaria». Gorelli, però, non si è lasciato mai abbindolare dalla retorica sull’essenzialità del suo mestiere durante l’emergenza: «Non mi sono mai sentito un eroe e non ho mai creduto a chi ci definiva così i corrieri. La verità è che siamo semplicemente persone povere e ci tocca andare a lavorare».

«I ritmi sono più rischiosi del Covid»

De Rose, tuttavia, non ritiene che sia il Coronavirus l’elemento che metta più a repentaglio la salute dei corrieri. «Per tutelare i lavoratori del settore, sostiene il segretario «bisognerebbe tener conto che si tratta di persone che fanno centinaia di consegne al giorno. C’è un elemento di intensità di prestazione, è lì che bisogna intervenire. Occorre ridurre l’orario di lavoro». Le performance richieste mettono in pericolo i driver, costretti a portare a termine tutte le consegne della giornata in contesti urbani non facili. «Io sono abbastanza fortunato, faccio 60-65 consegne al giorno e lavoro 8-9 ore – racconta Gorelli -, ma ho colleghi che arrivano a fare 12 di ore alla guida e non gli vengono riconosciuti gli straordinari».

«Settore alla mercé delle multinazionali»

A destra, Maurizio Diamante, segretario nazionale Fit-Cisl

«Nonostante tutto, è uno dei lavori più belli al mondo»

Un problema annoso quello della logistica, settore che, in Italia, è quasi interamente in mano alle multinazionali, «e qualcuna approfitta della propria posizione di potere». Felli, che «fortunatamente» non è stato messo in cassa integrazione, lamenta che la sua categoria «non gode di buona considerazione – e nonostante l’exploit del settore durante il lockdown abbia sottolineato la centralità dei driver -, in generale non siamo rispettati abbastanza come lavoratori. A partire da chi pretende ritmi altissimi, fino al cliente che vuole che la consegna sia veloce oltre i limiti dell’umano. Non siamo per niente rispettati».

Michele De Rose, segretario nazionale Filt Cgil

Scalpita invece per riprendere il turno di servizio e ripartire con il suo furgone Ups Gorelli: «Mi rendo conto che siamo dei lavoratori sottovalutati. Chi non è dentro l’ambiente tende a sottovalutare lo sforzo di un driver, credendo che il nostro lavoro consista nel portare un pacco da un punto A a un punto B».

Gorelli consegna pacchi da 11 anni. «Secondo me – e conclude avviando il motore -, è uno dei lavori più belli del mondo. Ti permette di gestire la giornata, sei abbastanza indipendente, non sei costretto a stare in un ufficio tutto il giorno, anzi: giri per le città, le vivi, e porti a casa di tantissime persone ciò di cui hanno bisogno».

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