Caso Regeni, Di Maio a muso duro: «L’ambasciatore resta al Cairo, l’export di armi non ferma la ricerca della verità»

Il ministro degli Esteri in audizione alla Camera: «Autorità politiche e diplomazia continueranno ad impegnarsi»

«Ribadisco con determinazione che autorità politiche e diplomazia continueranno ad impegnarsi, con il chiaro obiettivo di pervenire alla verità. Una verità che dobbiamo alla memoria di Giulio e alla sua famiglia ma anche all’Italia intera. La tragica vicenda di Giulio è una ferita aperta per tutto il nostro Paese. Rinnovo la mia personale vicinanza e quella della Farnesina a Claudia e Paolo Regeni», così il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, in audizione alla Camera presso la Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni.


«Rispetto profondamente il dolore della famiglia. Ogni loro critica, anche forte, è legittima e comprensibile e deve spingere tutti noi a continuare con ostinazione nella ricerca della verità», ha proseguito Di Maio. Dopo aver ripercorso le iniziative poste in essere con il primo e il secondo governo Conte, oltre che l’iter giudiziario del caso, Di Maio ha sottolineato che «il raggiungimento della verità sull’uccisione del nostro ricercatore resta condizione imprescindibile per un pieno sviluppo dei rapporti tra Italia ed Egitto».


No al ritiro dell’ambasciatore dal Cairo

«Non intendiamo deflettere in alcun modo da questo impegno, massimo e prioritario», ha detto il ministro degli Esteri. «Affinché la nostra azione per la ricerca della verità possa essere efficace, – ha continuato – riteniamo necessario coinvolgere costantemente al più alto livello le autorità del Cairo, attraverso un confronto franco ed esigente. In questo senso vorrei essere molto chiaro: secondo me è fuorviante credere che avere un nostro ambasciatore al Cairo significhi non perseguire la verità sul caso di Giulio Regeni. Viceversa penso sia altrettanto fuorviante pensare che il ritorno del nostro ambasciatore sia necessario per raggiungere la verità».

«La strategia del governo di tenere l’ambasciatore al Cairo si fonda proprio sull’azione incessante per ottenere la verità su chi, purtroppo, non c’è più come Giulio, e su chi come Patrick Zaki c’è ancora e va tutelato e difeso nei suoi diritti fondamentali, sollecitando anche un maggior coinvolgimento dei partner europei e internazionali».

I rapporti tra Italia ed Egitto

Serve un «confronto continuo e un’interlocuzione forte con l’Egitto – ha sottolineato Di Maio -. Paese con il quale abbiamo interesse a mantenere rapporti in un quadro più generale per la gestione comune di dossier come la Libia, dove il Cairo svolge un ruolo imprescindibile nella collaborazione alla lotta al terrorismo, ai traffici illeciti, alla gestione dei flussi migratori, alla cooperazione in campo energetico. In tutti questi settori la cooperazione tra Italia ed Egitto risponde ad un nostro interesse nazionale. Quindi è necessario continuare a sviluppare un dialogo sulle numerose tematiche di comune interesse. Ciò non significa in alcun modo sottovalutare la gravità dell’omicidio di Giulio, tanto meno pregiudicarne la ricerca della verità, che resta per noi la priorità assoluta». E ha continuato: «La qualità e l’intensità delle relazioni con il Cairo non sono paragonabili a quelle del passato e rimangono nettamente al di sotto delle potenzialità».

La questione degli armamenti

Sulla questione armi Di Maio ha detto: «Ho i miei dubbi che la vendita» di armamenti «all’Egitto si possa intendere come un favore dell’Italia anche perché ci sono altri Paesi che sono pronti a fare lo stesso. Non credo che quella cosa lì infici la ricerca della verità e tanto meno che possa essere una leva per ottenerla».

Il ministro ha anche spiegato, dal punto di vista procedurale, la vicenda relativa alla vendita delle fregate Fremm all’Egitto. «Ci sono due fasi dell’export di materiale legato agli armamenti. L’autorizzazione a negoziare e l’autorizzazione all’esportazione. Sulla vicenda Fremm siamo nella fase in cui il governo ha deciso di dare l’autorizzazione a negoziare, che porterà alla firma di un contratto. Se non ci sarà la firma del contratto non ci sarà la richiesta di esportare».

«Dopo la firma del contratto, – ha proseguito – alla Uama (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento) viene notificato, dalla società privata che ha firmato, la volontà di esportare. La Uama deve decidere, di nuovo, valutando l’esportazione o meno. Però attenzione: come governo, sulla vicenda Fremm, coinvolgendo tutto il Consiglio dei ministri e tutte le delegazioni, abbiamo dato l’assenso a negoziare. L’esportazione però non segue gli stessi criteri. Devono essere intercorsi dei cambiamenti tra la fase dell’autorizzazione a negoziare e la fase dell’autorizzazione ad esportare. Cambiamenti di contesto, di scenario, del Paese dove noi stiamo andando ad autorizzare una vendita». Di Maio ha sottolineato la necessità di riformare la legge che riguarda l’esportazione di armamenti, legge giudicata dal ministro degli Esteri troppo generica e che permette di avere maglie troppo larghe.

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