A due giorni dallo storico accordo a Bruxelles sul Recovery Fund, che dovrebbe consentire all’Italia di disporre di circa 209 miliardi tra sussidi e prestiti, prende corpo il dibattito sul come spendere questa cifra enorme. Fonte di ispirazione, forse, potrebbe essere l’Istat, che nel suo report sui livelli di istruzione fotografa una situazione drammatica per il mondo giovanile in Italia.
Nel 2019, segnala l’istituto di statistica, nel nostro Paese il 22,2% dei giovani tra 15 e 29 anni non lavora e non studia. Si tratta di due milioni di ragazzi. Sono i cosiddetti “Neet” (Not in Education, Employment or Training, ovvero non studente, né occupato, né in formazione), per i quali l’Italia si riserva il primato all’interno dell’Unione europea, con un valore percentuale di circa 10 punti superiore alla media del Continente (12,5%) e decisamente più distante dai valori degli altri grandi Paesi europei.
Diplomati e laureati i più penalizzati
L’incidenza dei Neet è del 23,4% tra i giovani con un titolo secondario superiore (diploma), leggermente più bassa, al 21,6%, tra chi ha raggiunto al massimo un titolo secondario inferiore (licenza media), e scende ancora al 19,5% tra coloro che possiedono un titolo terziario (laurea). In Europa invece l’incidenza è massima tra coloro che possiedono un basso livello di istruzione (14,8%), confermandosi minima tra i laureati (9,0%). Resta dunque sempre presente il problema del mancato inserimento, nel mercato del lavoro italiano, di giovani laureati che poi, inevitabilmente, finiscono per offrire le proprie alte competenze all’estero.
Condizione di Neet più diffusa tra le donne. Male il Mezzogiorno
Anche nel caso dei Neet emerge un sostanziale divario tra uomini e donne. La condizione è più diffusa tra le seconde (24,3%), contro il 20,2% degli uomini, indipendentemente dal livello di istruzione. C’è poi l’annoso capitolo del Mezzogiorno che, anche in questo caso, mostra un gap notevole rispetto al Nord. Nel Sud Italia l’incidenza dei Neet è al 33%, più del doppio rispetto dal dato fotografato al Nord (14,5%), al Centro invece l’Istat segnala un 18,1%.
I Neet e la nazionalità
Altra prospettiva di analisi del problema è quella che riguarda la nazionalità dei Neet. Tra gli stranieri sono il 31,2%. Dieci punti percentuali in più rispetto agli italiani, che si attestano al 21,2%. E anche qui c’è un problema di genere visto che, nel campo delle donne, le straniere sono il 40,6% mentre le italiane il 22,3%.
Ma in quanti cercano un lavoro?
Non lavorano, non studiano e, spesso, hanno anche perso la speranza di trovare un lavoro. Questo è probabilmente l’aspetto più drammatico e che riguarda il 32% dei Neet. Mentre il 36,8% cerca attivamente un impiego e il 31,1% fa parte delle forze di lavoro potenziali, ovvero quelli che non cercano attivamente un lavoro, ma sono disponibili a lavorare, oppure quelli che cercano lavoro ma non sono subito disponibili.
L’Istat rileva inoltre che, tra i Neet che non cercano lavoro, si annoverano più frequentemente quelli con un basso livello di istruzione. La quota di Neet interessati a lavorare (disoccupati e forze di lavoro potenziali) è più bassa tra le donne (59,1%) rispetto agli uomini (77,9%).
Al Mezzogiorno si cerca più lavoro
Un dato molto significativo rilevato dall’Istat, e che smentisce tanti antichi luoghi comuni, è che nel Mezzogiorno la quota dei Neet interessati a lavorare è notevolmente più elevata: sono il 75,1%, a fronte del 62,6% del Centro e del 56,7% del Nord. La differenza rimane indipendentemente dal livello di istruzione e questo, sottolinea l’Istat, dimostra come nel Sud Italia la condizione di Neet sia la conseguenza di minori opportunità lavorative, che tengono ai margini del mondo del lavoro anche i giovani che vorrebbero entrarvi.
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