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Uruguay: enorme aquila nazista all’asta. Ma è polemica, potrebbe finire nelle mani di fanatici neonazisti

22 Luglio 2020 - 15:57 Marco Assab
Il pezzo apparteneva alla poppa dell'incrociatore tedesco Graf Spee, affondato durante la seconda guerra mondiale

Una immensa aquila di bronzo con una svastica tra gli artigli è al centro di un caso, con annesse polemiche, in Uruguay. Molto presto finirà all’asta, ma c’è chi fa osservare come un oggetto simile dovrebbe invece andare in un museo, piuttosto che rischiare di finire nella mani di gruppi fanatici neonazisti. Ma per capire bene questa storia dobbiamo fare un rapido passo indietro, e andare fino al 17 dicembre del 1939.

Cosa ci fa l’aquila nazista in Uruguay?

La seconda guerra mondiale è iniziata da circa tre mesi, con l’aggressione tedesca della Polonia e le conseguenti dichiarazioni di guerra di Regno Unito e Francia. Il 21 agosto del ’39 l’incrociatore pesante Graf Spee, modernissima nave militare in forza alla Kriegsmarine, la marina tedesca, prende il largo con destinazione Atlantico meridionale. L’obiettivo della nave da guerra è la caccia ai convogli navali dell’Impero britannico.

Ma il 13 dicembre la Graf Spee viene colta di sorpresa da ben tre incrociatori della Royal Navy inglese: inizia uno scontro che finirà sui libri di storia. La Graf Spee, colpita e danneggiata, è costretta a rifugiarsi nel porto neutrale di Montevideo il 14 dicembre. Il governo uruguaiano stabilisce un termine di permanenza di 72 ore, dopodiché la nave è costretta a ripartire e si autoaffonda, la sera del 17 dicembre, nell’estuario del Río de la Plata.

75 anni dopo è ancora battaglia

Ora, cosa c’entra tutto questo? L’aquila in bronzo con la svastica, che pesa tra i 350 e 400 kg, faceva parte della poppa della Graf Spee, ed è stata recuperata al largo delle coste dell’Uruguay nel 2006 da un gruppo di investitori privati.

Fino a questo momento l’aquila è stata riposta in un magazzino custodito dalla marina uruguaiana. Dopo una lunga battaglia legale, nel 2014, la Corte suprema ha stabilito che lo stato uruguaiano è il legittimo proprietario del pezzo, ma ha anche deciso che la compagnia di salvataggio privata avrebbe ottenuto il 50% dei profitti in caso di vendita. L’anno scorso un tribunale ha stabilito che l’aquila doveva essere messa all’asta.

Uno degli uomini che guidò le operazioni, il businessman Alfredo Etchegaray, ha dichiarato alla Bbc che l’aquila poteva valere fino a 15 milioni di dollari. Ma il pezzo in questione è stato già al centro di dispute diplomatiche tra Montevideo e Berlino. Quando venne esposto per la prima volta in Uruguay, l’ambasciata tedesca chiese al governo sudamericano di evitare di esibire oggetti nazisti. E già nel 2010 il ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, aveva ammonito di non vendere il pezzo a collezionisti privati, per paura che potesse finire nelle mani di fanatici neonazisti.

Proteste dagli Usa da un centro di ricerca sull’Olocausto

E veniamo dunque alle polemiche di questi giorni. Il Simon Wiesenthal Center di Los Angeles, storico centro di ricerca e memoria sull’Olocausto (Simon Wiesenthal fu un famoso cacciatore di nazisti dopo la guerra), ha sollecitato l’Uruguay a utilizzare l’oggetto «come avvertimento per le generazioni future».

Il centro ha messo in guardia sul reale pericolo che il controverso manufatto possa, attraverso l’asta, finire nelle mani di fanatici neonazisti, vista la crescita negli ultimi anni di un mercato al quale fanno riferimento l’estrema destra e i suprematisti bianchi. Il centro ha anche evidenziato come i musei, o gli istituti educativi, che userebbero l’aquila a fini storici e di sensibilizzazione sulla tragedia dell’Olocausto, dovrebbero essere favoriti nell’asta.

In copertina EPA/Alfredo Etchegaray | Una foto diffusa da Alfredo Etchegaray con l’aquila di bronzo che faceva parte della poppa della nave nazista Graf Spee.

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