Assenza per malattia: come deve comportarsi il lavoratore per evitare il licenziamento?

La Corte di Cassazione, con Ordinanza n. 18245/2020, ha ribadito che lo svolgimento di altra attività (lavorativa e non) del lavoratore durante lo stato di malattia, in grado di pregiudicare un rapido recupero delle energie da porre a disposizione del datore, comporta una violazione dei doveri di correttezza e buona fede, nonché di diligenza è fedeltà, tale da giustificare il licenziamento per giusta causa.

La fine del periodo estivo, caratterizzato dalla diffusione di nuovi focolai di Covid-19 in tutta Italia e dal conseguente aumento dei contagi, ripropone i due principali interrogativi relativi all’assenza per malattia che incombono rispettivamente sul datore di lavoro e sul lavoratore: come devo gestire l’assenza per malattia del dipendente? Come devo comportarmi durante il periodo di assenza?


La fattispecie

Il primo quesito trova risposta nel Codice Civile. Ai sensi dell’art. 2110, l’evento della malattia (al pari dell’infortunio, della gravidanza e del puerperio) è una causa di legittima sospensione del rapporto lavorativo nel corso della quale il lavoratore ha diritto ad alcune forme di tutela che il datore di lavoro deve garantirgli. Nello specifico:


  • il lavoratore mantiene il diritto alla retribuzione o ad altre indennità equivalenti;
  • il periodo di assenza dal lavoro viene computato nell’anzianità di servizio;
  • il lavoratore mantiene il diritto alla conservazione del posto di lavoro durante tutto il cd. “periodo di comporto”.

Il periodo di comporto è quel lasso di tempo (la cui durata è stabilita dalla legge, dai contratti collettivi, dagli usi o secondo equità) durante il quale, in caso di assenza del lavoratore per malattia, sussiste il divieto per il datore di lavoro di procedere con il licenziamento.

Se da una parte il datore di lavoro si trova a dover gestire l’assenza del lavoratore senza la possibilità di poter recedere dal contratto di lavoro per l’intera durata del periodo di comporto, dall’altra tale divieto non può considerarsi assoluto.

Gli obblighi del lavoratore

Infatti, a fronte delle tutele accordategli, tra cui il diritto alla conservazione del posto, il lavoratore assente per malattia deve rispettare i principi di correttezza e buona fede, nonché quelli di diligenza e fedeltà.

La violazione di tali principi e il porre in essere una condotta idonea a ledere il vincolo fiduciario espongono il lavoratore all’azione disciplinare da parte del datore di lavoro.

Per non incorrere in sanzioni disciplinari (compresa quella del licenziamento per giusta causa), durante l’assenza per malattia il lavoratore è dunque tenuto ad osservare alcuni obblighi e divieti, tra i quali:

  • l’obbligo di comunicazione tempestiva dell’assenza dal posto di lavoro nei confronti del datore di lavoro;
  • l’obbligo di attivarsi per il rilascio del certificato di malattia;
  • l’obbligo di rendersi reperibile per eventuali visite di controllo;
  • il divieto di esecuzione di altra attività lavorativa (e non) idonea a compromettere o ritardare la guarigione.

Il caso

Proprio su questo ultimo divieto, è tornata a pronunciarsi nei giorni scorsi la Corte di Cassazione, la quale, con Ordinanza n. 18245 del 2 settembre 2020, ha ribadito il principio per cui lo svolgimento di altra attività del dipendente durante lo stato di malattia integra violazione dei doveri di correttezza e buona fede, nonché di diligenza e fedeltà, ed è quindi idoneo a giustificare il recesso del datore di lavoro nel momento in cui pregiudichi o ritardi la guarigione e ostacoli dunque il recupero delle energie da porre a disposizione del datore di lavoro.

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha confermato la sussistenza della giusta causa in un licenziamento intimato ad un lavoratore che, assente dal lavoro per motivi di salute riconducibili ad una “dermatite acuta alle mani”, aveva svolto altre attività presso il bar-pasticceria della moglie esponendo le mani a fonte di calore (tramite, ad esempio, le attività di lavaggio stoviglie e preparazione del caffè).

I giudici di legittimità hanno così ribadito il principio per cui non vige in capo al lavoratore un divieto assoluto di svolgere ulteriori attività (lavorative e non) durante l’assenza per malattia, ma tali attività non devono ostacolare i tempi di recupero delle energie psico-fisiche e porsi in contrasto con la malattia causa dell’assenza.

La Corte di Cassazione si è così allineata alla decisione dei giudici di merito, che avevano considerato l’utilizzo dell’acqua e l’esposizione a fonti di calore come delle attività sconsigliate e in grado di aggravare la dermatite alle mani, e ha confermato che la condotta del lavoratore era idonea a giustificare il recesso, sussistendo un inadempimento degli obblighi contrattuali e una lesione del vincolo fiduciario da parte del lavoratore.

Il principio ribadito nella pronuncia in esame, già presente in giurisprudenza, torna oggi in auge a causa delle assenze per malattia che verosimilmente si verificheranno in conseguenza dell’aumento dei contagi da Covid-19, soprattutto alla luce del fatto che anche lo stato di isolamento dei cd. “positivi asintomatici” è stato equiparato alla malattia.

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