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Regionali 2020, il voto dei giovani. In Toscana tra eccellenze solitarie, opportunità e nessuna nostalgia “rossa”

16 Settembre 2020 - 07:53 Valerio Berra
In vista delle elezioni regionali del 20 e 21 settembre, Open ha raccolto tre storie di under 40 alle prese con una regione protagonista di una grande metamorfosi

La “regione rossa”. Alla elezioni Regionali del 20 e 21 settembre la Toscana si trascina ancora questo titolo, acquisito dopo anni di vittorie di colazioni segnate con il rosso sulle mappe elettorali. Da Lelio Lagorio, primo presidente nel 1970 sostenuto dal Partito Comunista e dal Partito Socialista a Enrico Rossi, eletto la prima volta nel 2010 con il Partito Democratico. Eppure, a guardare i sondaggi di queste elezioni e i dati delle ultime amministrative, il rosso della Toscana non sembra poi così vivo

Dei dieci comuni capoluoghi di provincia solo quattro conservano ancora una guida di centro sinistra. Gli altri sei sono in mano al centro destra. Alle elezioni europee del 2019 il primo partito era il Pd, con il 33,3% ma il secondo, a meno di due punti di distanza, era la Lega con il 31,5%. Non solo. La candidata della Lega Susanna Ceccardi, dopo aver espugnato nel 2016 il comune di Cascina (provincia di Pisa) ora guarda ai sondaggi di Ipsos che la danno al 41,5%, appena un punto dietro Eugenio Giani della coalizione di centrosinistra che arriva al 42,6% delle preferenze. Staccata di misura Irene Galletti del Movimento 5 Stelle che arriva al 9%.

Una parte fondamentale in questo voto potrebbero averla i giovani, nuovi elettori lontani da quelle che sembrano tradizioni politiche lontane, e da quella Toscana rossa che appartiene a un’altra era politica. Dagli ultimi dati disponibili sul portale Istat, l’occupazione dei giovani (25-34 anni) è sopra, e di parecchio, della media nazionale: 71,5%, quasi dieci punti in più rispetto allo stesso dato registrato in Italia. Più basso della media, questa volta di 4,8 punti, il tasso di disoccupazione che si ferma al 10%. Fra queste due percentuali ci sono gli inattivi, chi non lavora e chi non cerca lavoro, fermi al 20,6%. La media nazionale è del 26,6%.

I numeri tratteggiano dunque una Toscana dove i giovani hanno spazio o, almeno, ne hanno più del resto di Italia. È davvero così? Se l’immagine della regione rossa va bene per i libri di storia politica, abbiamo provato a capire come i giovani stanno vivendo, e trasformando, gli ambiti che da anni costituiscono stereotipi altrettanto forti per la regione: la sanità pubblica, l’agricoltura e la ricerca accademica.

Virginia Casigliani, medica specializzanda nella sanità alla prova del Coronavirus

OPEN | Virginia Casigliani

Ogni anno la classifica Crea dell’Università di Tor Vergata definisce il ranking delle prestazioni sanitarie in ogni regione. Nel 2019 al primo e al terzo posto c’erano le province autonome di Trento e Bolzano. Al centro, prima fra le regioni non a statuto speciale, la Toscana. Con l’epidemia di Coronavirus questo settore è diventato cruciale per progettare i prossimi anni, un settore dove un ruolo centrale hanno i medici specializzandi come Virginia Casigliani.

Referente di FederSpecializzandi Pisa, Virginia ha 27 anni ed ha appena inziato il secondo anno di specialistica in Igiene e Medicina preventiva. Ora lavora in un istituo che si occupa di fornire supporto all’azienda ospedaliera del suo territorio ma nei mesi più duri dell’epidemia prestava servizio nel dipartimento di prevenzione dell’Asl Pisa Nord Ovest: «L’epidemia in Toscana è arrivata dopo che in altre regioni. Abbiamo avuto il tempo di organizzarci. Abbiamo retto, anche se comunque con delle difficoltà. All’inizio c’era carenza di dispositivi di protezione individuale sia sul territorio sia in ospedale e non si riuscivano a raccogliere i dati sul territorio nella maniera adeguata».

La forza del sistema sanitario toscano è il lavoro sul territorio, quel modello di cura non centralizzato sugli ospedali di cui si parla tanto per questa fase di convivenza con il Covid: «Qui cerchiamo di portare avanti un modello basato sulla sanità di iniziativa: un modello di gestione sul territorio su vari livelli per andare incontro al paziente e impedire che entri nel sistema sanitario solamente quando la malattia si manifesta nella sua fase più acuta».

Un modello che si basa però anche sul lavoro dei medici specializzandi. Nonostante l’eccellenza, anche in Toscana chi si laurea in Medicina e riesce ad accedere a una borsa di studio per la specialistica si deve confrontare con responsabilità che non vengono né riconosciute né retribuite: «Non solo bisogna aumentare le borse per le specialistiche. Anche qui ai medici ai primi anni di specializzazione vengono affidati compiti per cui servono conoscenze e competenze che si sviluppano in maniera graduale e devono essere valutate nel tempo: bisognerebbe riconoscere queste responsabilità in modo crescente, a livello legale ed economico».

Lapo Gondi, imprenditore agricolo dopo aver lasciato l’università

OPEN | Lapo Gondi

«Studiavo Scienze Politiche ma ho deciso di interrompere l’università per aiutare mio nonno. Era malato e guidava l’azienda agricola in cui la mia famiglia lavora da secoli». Lapo Gondi ha 34 anni e da 14 lavora nel settore dell’agricoltura. La sua azienda gestisce un terreno di 540 ettari con 24mila ulivi a Calenzano, vicino a Prato. Secondo i dati dell’ultimo censimento Istat dell’agricoltura in Italia (pubblicato nel 2013), il 32,8% della superficie regionale è coltivato. E, soprattutto in alcune zone, vino e olio sono i prodotti su cui gli agricoltori puntano di più per inserirsi nel mercato estero.

«Per un giovane che vuole intraprendere l’attività agricola in Toscana la strada è in salita. L’accesso alla terra e al credito è difficile. Non è facile reperire i fondi e non è facile accedere ai finanziamenti delle banche». Esiste un fondo regionale a cui i giovani che vogliono avviare un’impresa agricola possono accedere. C’è un prestito iniziale ma poi il pericolo è quello di non farcela da soli: «La regione permette di entrare nel fondo GiovaniSì, che offre un aiuto per iniziare l’attività. Il problema è che gli investimenti iniziali rimangono comunque bassi e questo dà vita a una serie di piccole imprese che con il tempo rischiano di non sopravvivere».

Nonostante questo, il numero di nuove aziende agricole è in crescita: «Ai giovani piace inziare attività in questo settore, piace meno lavorare come dipendenti agricoli. Con il Covid ci sono stati molti problemi per la stagione della raccolta: chi arrivava in Italia, in modo legale, per questo tipo di lavori spesso è dovuto rimanere a casa». Il mercato estero, secondo Gondi, sarà fondamentale in questa fase, visto che dal settore della ristorazione gli ordini che arrivano sono ancora pochi: «La nuova giunta regionale avrà parecchio da lavorare. Ci sarannno da programmare tutte le richieste di accesso al credito e investire sulla comunicazione verso i mercati esteri dove per i prodotti di alta qualità è possibile ottenere una marginalità più alta».

Calogero Oddo, professore associato della S.Anna di Pisa a 37 anni

OPEN | Cologero Oddo

Al 117° posto nella classifica delle università migliori al mondo e al 2° posto tra gli atenei italiani, la scuola superiore S. Anna di Pisa è una delle eccellenze più importanti del sistema universitario della regione. Un sistema che conta anche altri poli, come Firenze, Siena e Pisa. Calogero Oddo, 37 anni, professore di bio ingegneria con origini siciliane e accento toscano, ha iniziato la sua carriera accademica proprio qui, con una borsa di studio.

«Ci sono casi in cui la meritocrazia in Italia funziona. Io non vengo da una famiglia di accademici. Mio padre era un ferroviere e mia mamma una dipendente dell’agenzia delle entrate. Finito il liceo ho vinto il concorso come allievo ordinario della Scuola S. Anna, per la facoltà di ingegneeria. Ora, a 37 anni, sono professore associato». Nel corso degli anni il professor Oddo ha lavorato in diversi campi, a livello nazionale ed europeo e ha partecipato anche ai primi studi in cui si dimostra come attraverso una protesi anche chi ha perso un arto dopo un trauma può ritrovare il senso del tatto. Il suo percorso è certo fatto di eccelenza, ma il modello della scuola S. Anna si può applicare in tutta la regione?

«La comunità accademica italiana è una comunità strana. Rispetto ad altre realtà internazionali noi siamo molto più efficienti: produciamo molti articoli con pochi fondi. La qualità da sola però non basta: ora bisogna fare massa critica. C’è bisogna anche di quantità». E qui l’esempio arriva da oltre confine: «A Parigi è stata creata da poco creata la Psl, una rete che unisce diverse scuole d’eccellenza e questo potrebbe essere un investimento anche per il nostro territorio. Penso agli atenei di Siene, Firenze e Lucca. Il sistema accademico è competitivo ma dobbiamo unirci e aumentare il numero di laureati, ricercatori e articoli scientifici se vogliamo davvero puntare a crescere».

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