Regionali 2020, il voto dei giovani. In Puglia Emiliano li corteggia ma i fondi per fare impresa non hanno fermato la fuga di cervelli

La disoccupazione giovanile tra i 15 e il 24 anni è al 40,4%, il numero dei fuorisede pugliesi è pari alla metà degli iscritti negli atenei regionali. In vista delle elezioni regionali del 20 e 21 settembre, Open ha raccolto le storie di under 40 alle prese con una regione che spesso li ha delusi. E qualche volta ha creduto in loro

Lu sulelu mare e lu ientu, ma anche la “tiedda” di riso, patate e cozze della domenica. La Puglia, per le sue bellezze naturali e il buon cibo, non è una regione facile da lasciare. Eppure i pugliesi che ogni anno fanno le valigie e si spostano verso Nord sono tanti. La maggior parte di loro rientra nelle categorie dei Millennial e della Generazione Z: è un problema che non potrà essere ignorato dalla giunta che si insedierà dopo le elezioni regionali del 20 e 21 settembre. A contendersi la carica di presidente ci sono otto candidati, ma i sondaggi descrivono la tornata come una sfida a due tra Michele Emiliano, governatore uscente, e Raffaele Fitto, già presidente dal 2000 al 2005.


Il rapporto Svimez sull’economia e la società del Mezzogiorno è allarmante se si guarda al fenomeno della cosiddetta fuga di cervelli (specie giovani) . Nei dieci anni presi in esame, dal 2008 al 2017, i residenti in Puglia di età compresa tra i 15 e i 34 anni sono passati da 1 milione e 65mila a 900mila: un crollo del -14%. E il motivo principale è il trasferimento lungo l’asse Sud-Nord in cerca di opportunità di studio e lavorative. La stessa percentuale si conferma nell’area della Città metropolitana, -13,8% di popolazione under 35 persa in un decennio, 45.338 giovani. Tra i comuni con i picchi più alti di questo esodo ci sono Alberobello, -22%, Mola di Bari, -21% e Giovinazzo, -18,8%.


Le previsioni al 2065 tratteggiano una Puglia desertificata: potrebbero essere un milione in meno i residenti nella regione se non si fermasse l’emorragia di persone che cercano altrove condizioni di vita migliori. Il tasso di disoccupazione tra i più giovani, ovvero i pugliesi di età compresa tra i 15 e i 24 anni, è pari al 40,4%. Quasi undici punti percentuali in più rispetto al dato nazionale, pari al 29,2%. Tra le città più popolose di Italia, Bari è quella che spende meno – peggio fa solo Venezia – per le politiche giovanili: 0,15 euro pro capite. La Puglia, a differenza di quanto appare su Instagram durante il periodo estivo, non sembra una terra per giovani.

«Si sente la mancanza di Guglielmo Minervini», afferma un dipendente della Regione, che preferisce restare anonimo, e che si occupa di politiche giovanili. «La generazione Bollenti Spiriti si sta spegnendo». Il riferimento è al programma della Regione Puglia ideato da Minervini, appunto, assessore alle Politiche giovanili dei due mandati Nichi Vendola. «Dieci anni fa era innovativo parlare di auto-imprenditorialità dei giovani pugliesi: li aiutavamo a crearsi il posto di lavoro anziché andare a cercarselo». In quest’ultima legislatura, «la Regione non si è data una nuova visione delle politiche giovanili, ma si è preoccupata semplicemente di amministrare quanto fatto in precedenza».

L’invito rivolto a Emiliano è di «avere un approccio orientato verso la creazione di opportunità e non restare ancorato a una politica assistenziale», afferma una dipendente che è stata una figura chiave nell’erogazione di fondi e nella gestione dei bandi per i giovani e che pure accetta di parlare a patto dell’anonimato: «Per recuperare il gap in termini retributivi con il Nord bisognava fare qualcosa in più per attrarre le grandi aziende, la micro-imprenditorialità non è bastata». Perché la Puglia, dal punto di vista dei programmi di sostegno agli under 35, ha fatto tanto. Ma la disoccupazione resta elevata e i ragazzi che scelgono di trasferirsi altrove per studiare sono troppi: circa 50mila fuorisede pugliesi, quasi la metà del totale degli iscritti agli atenei della regione.

Non c’è lavoro per gli psicologi…

Luigi Mossa, laureatosi in Psicologia all’Università di Bari nel 2018, si arrangia con tanti lavori precari pur di restare a casa, nel Nord-Barese, «ma l’ipotesi di andare via si sta trasformando sempre di più in una scelta inevitabile». L’ateneo, dopo la laurea, non l’ha aiutato nell’inserimento nel mercato del lavoro: «Mi sono sentito abbandonato. Io e i miei compagni di corso abbiamo dovuto cercare da soli un posto dove svolgere il tirocinio obbligatorio per sostenere l’esame di Stato». Un periodo di un anno, in cui Luigi ha lavorato gratuitamente, «anzi, ci ho rimesso pagando le spese di trasporto». Racconta che la situazione è stata analoga per i suoi colleghi.

«L’Università non controlla che il numero di ore di tirocinio venga rispettato, che ci sia un trapasso di competenze: è tutto sulle spalle dello studente – denuncia -. Avremmo dovuto fare mille ore di tirocinio durante l’anno, mi sono trovato farne più del doppio, sfruttato dalla struttura: non potevo lamentarmi perché c’era il rischio della sospensione del tirocinio e così non avrei potuto sostenere l’esame di Stato». Finito il tirocinio è ottenuta l’abilitazione, Luigi ha inserito il suo curriculum nel portale del placement universitario: «Dopo oltre un anno, non ho ancora ricevuto una chiamata, un’offerta di lavoro. La stessa cosa vale per i miei amici di corso».

UNIVERSITA’ DI BARI | Sede della Facoltà di Psicologia

…E nemmeno per gli architetti

Valeria Lanzellotto, 27 anni, è laureata e abilitata in Architettura. A due anni dalla fine degli studi, sta cercando disperatamente uno lavoro che le consenta di andare via di casa e rendersi indipendente. «In comitiva siamo una decina di architetti e nessuno, ad oggi, ha trovato un lavoro stabile – spiega -. C’è chi prende circa 500 euro con il programma Garanzia Giovani, lavorando anche 12 ore al giorni, oppure chi ha il Servizio Civile. Ma nessuno ha trovato il posto di lavoro che ci immaginavamo quando ci siamo iscritti all’università».

«C’è delusione, tanta delusione, nei confronti delle opportunità che offre la nostra regione. Non nascondo che dopo due anni la voglia di andare altrove è forte: qui il mio lavoro, le mie competenze non sono riconosciute: sia dal punto di vista del pubblico che del privato. Non c’è richiesta di architetti, e questo è un fatto, non un’impressione: la mia è una generazione di architetti condannata in gran parte a non trovare lavoro o ad andare via dalla Puglia», conclude Valeria. Mentre l’Università di Bari viene descritta come deficitaria nella fase di collegamento con il mondo del lavoro, la Regione ha previsto il cosiddetto Pass Laureati per farsi carico delle spese dei master post-laurea: 7.500 euro di borsa di studio se svolti in Italia, 10mila euro per l’estero.

PIXABAY | Studio di architetti

Fondi di successo: Giancarlo e Giovanni ce l’hanno fatta grazie alla Regione

Se Garanzia Giovani si è rivelato, nella maggior parte dei casi, uno strumento per le aziende per assumere gratuitamente dei lavoratori, sfruttarli e dopo qualche mese sostituirli con altri ragazzi alla disperata ricerca di un’occupazione, il lascito di Bollenti Spiriti, nel frattempo scorporatosi in altri bandi per le imprese avviate dagli under 35, produce ancora i suoi frutti. Luoghi Comuni è il progetto che offre in gestione, specialmente a organizzazioni del terzo settore, patrimoni immobiliari inutilizzati delle amministrazioni pubbliche locali e regionali, dando 40mila euro a fondo perduto per rivitalizzare quegli spazi. Il bando più gettonato tra i giovani, però, risulta essere il Pin.

Si tratta di un contributo a fondo perduto dal valore massimo di 30mila euro erogato a sportello: possono presentare domanda giovani imprenditori che vogliono innovare nell’ambito della tecnologia, della cultura e del sociale. In caso di accettazione della domanda, i ragazzi ricevono un accompagnamento nello sviluppo del progetto e gettoni di consulenza gratuita da spendere per avviare l’attività. Giancarlo Ostuni, dopo un Mba a Madrid in Economia, ha scelto di tornare in Puglia per aiutare la famiglia nella gestione della propria impresa.

«La Puglia in quegli anni era fica: c’era la narrazione dei Bollenti Spiriti e noi giovani fuggiti altrove abbiamo iniziato a sentirci parte di una comunità nel tornare – racconta -. Mi ricordo che attorno al 2010 ci fu la prima ondata di rientri di giovani pugliesi grazie ai progetti fatti partire da Minervini». Giancarlo, insieme a suo cugino Luca Dimola, ha fondato Sagelio: una startup che sta costruendo una rete di punti di ricarica per auto elettriche nelle masserie pugliesi, fornendo poi il noleggio dei veicoli elettrici ai turisti. Il risultato è un itinerario sostenibile della Puglia. La start up è potuta partire grazie ai fondi ricevuti dall’iniziativa Pin.

«Io e mio cugino abbiamo scelto di rientrare dall’estero per avviare un’attività qui e la Regione ci ha aiutato – conclude -. Ci sono tanti “pro” nel fare impresa in Puglia: il costo della vita basso, la qualità di vita altissima, ampio spazio per la traslazione dell’innovazione già presente all’estero e un ottima rete di collegamenti aerei con il resto dell’Europa». I contro? «Inutile negarlo, c’è un grosso problema di accesso alle opportunità e non è facile trovare dei talenti sul nostro territorio: la Puglia è un luogo di ritorno di studenti emigrati, ma non di arrivo per chi in Puglia non ha mai vissuto. Non siamo attrattivi, forse perché è tutto ingessato ed è complicato avere a che fare con la pubblica amministrazione qui».

Giovanni Zappatore ha avuto modo di dare seguito alla sua tesi di laurea triennale grazie al bando Pin. Con Matteo e Federico, due colleghi ingegneri, hanno ottenuto i 30mila euro a fondo perduto e fondato Bionit Labs, una startup che applica le tecnologie informatiche alla bionica «con l’obiettivo di trasformare le disabilità in nuove possibilità». Il loro primo prodotto è stato una protesi bionica, l’Adam’s hand, per sostituire gli arti superiori amputati. «La Regione Puglia ci ha aiutato parecchio: oltre al Pin, abbiamo ottenuto 300mila euro, una parte come grant e un’altra come finanziamento, attraverso il bando TecnoNidi».

Bionit Labs ha sede a Soleto, un paesino di 5.000 abitanti in provincia di Lecce. La startup ha dato lavoro a 20 persone, di cui 12 assunte con contratto a tempo indeterminato. «Siamo riusciti a riportare un po’ di nostri colleghi emigrati al Nord ed è stata delle più belle soddisfazioni», racconta Giovanni. «Abbiamo deciso di restare per cercare di cambiare le cose nel territorio che ci ha cresciuto e che amiamo – conclude -. In Puglia sta iniziando a nascere un tessuto imprenditoriale relativo alle start up, ma i punti di riferimento in Italia restano ancora le grandi città del Nord».

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