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Covid e bambini, si ammalano poco e trasmettono meno il virus. Ma preoccupano i numeri: quasi 150 mila contagiati e 8 decessi

26 Novembre 2020 - 12:53 Fabio Giuffrida
Rari i casi gravi che necessitano di cure intensive, ma crescono i rischi derivati da altre patologie: ridotti fino all’80% gli accessi al pronto soccorso durante la pandemia, mentre sono triplicati i bambini nati morti durante il lockdown

Il Covid sta avendo conseguenze importanti sulla salute dei bambini. Si parte anzitutto dai numeri: da febbraio a maggio sono stati registrati 4 decessi, «tutti con pregresse patologie». Come spiega Alberto Villani, presidente della Società italiana di Pediatria e membro del Comitato tecnico scientifico istituito dal governo, «raramente i bambini hanno avuto necessità di cure intensive». Questo, però, «non vuol dire che non si verifichino». Ora, con l’aumento dei contagi, si è passati a un totale di 8 decessi (età 0-19 anni).

I numeri del contagio

I dati parlano, comunque, di una diffusione piuttosto consistente: 43.841 i casi diagnosticati, dall’inizio della pandemia, nella fascia di età 0-9 e 105.378 nella fascia 10-19. Tra i bambini più piccoli, da 0 a 1 anno, gli asintomatici sono più di 6 su 10, più di 3 su 10 i paucisintomatici o con sintomi lievi, solo il 3,4% manifesta sintomi severi. Nella fascia tra i 2 e 19 anni, invece, gli asintomatici sono più di 7 su 10, la restante parte è paucisintomatica o lievemente sintomatica. Marginali i sintomi severi in questa fascia di età. C’è poi il problema della medicina generale e di prevenzione, danneggiata dalla paura del Covid. È calata del 40% l’utenza pediatrica nei pronto soccorso con punte dell’80% in alcuni territori, secondo le stime della Società italiana di medicina emergenza urgenza pediatrica. Oltre 3 genitori su 10 hanno rinviato le sedute vaccinali per i propri figli per paura del contagio. Questi i numeri forniti nel corso della conferenza stampa della Società italiana di Pediatria a cui Open ha partecipato.

I bambini nati morti: tre volte più del 2019

E c’è un altro dato da non sottovalutare: il numero di bambini nati morti durante il Covid. Tre volte di più rispetto al 2019. Come è possibile? «Le donne non sono andate in ospedale durante la pandemia, per timore del Covid, e dunque non si sono controllate a dovere», ha spiegato Mario De Curtis, componente del Comitato per la Bioetica della Società italiana di Pediatria. Problemi su problemi che si aggiungono alle vaccinazioni rinviate, alle famiglie che non hanno più portato i bambini al pronto soccorso per paura del contagio con il rischio di ritardare le diagnosi, anche quelle più gravi, oltre a decine di reparti di pediatria trasformati in reparti Covid sia per bimbi che per adulti. Per questo la raccomandazione è evitare di avere paura di recarsi dal medico o nelle strutture ospedaliere: «Gli ospedali sono sicuri, fatevi ricorso quando ne avete bisogno», ha detto Villani che, poi, ha tranquillizzato tutti anche sui vaccini: «Saranno sicuri e certificati, se finiranno sul mercato vuol dire che avranno superato tutti i controlli».

«Si ammalano poco e sono meno trasmettitori del virus»

Il rallentamento della prevenzione o l’arrivo in ospedale ritardato incide duramente sulla salute dei bambini nonostante «si ammalino poco e siano meno trasmettitori del virus», ha ribadito Rino Agostiniani, vicepresidente della Società italiana di Pediatria. Questo non significa che non possano infettare altri pazienti, come i genitori, ma lo fanno con un’incidenza minore. I più colpiti, secondo il professor Giovanni Corsello, ex presidente della Società italiana di Pediatria, sono soprattutto i bambini con «malattie croniche o con disabilità»: «Nel 2020 abbiamo assistito a una riduzione di diagnosi di tumore, circa il 30% in meno. La riduzione degli accessi al pronto soccorso ha aggravato altre malattie. Rallentare o interrompere questo percorso significa avere conseguenze che poi si pagano».

No alla didattica a distanza

I medici dell’associazione pediatri hanno preso posizione anche sulla Dad. La didattica a distanza, spiegano, «può essere un’opzione temporanea senza rischi permanenti per una certa fetta di adolescenti» mentre per chi ha disabilità o ha un problema clinico «diventa impossibile o non eseguibile in contesti diversi da quello scolastico. Pensiamo all’indisponibilità degli insegnanti di sostegno», dice, ad esempio, Corsello. Una didattica a distanza «inadeguata» da molti punti di vista secondo Rino Agostiniani, che spiega come per tanti bambini e ragazzi la situazione di maggior presenza in casa li abbia «portati ad essere vittime o spettatori di violenze».

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