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Coronavirus, i test rapidi hanno davvero ridotto del 58% il numero di positivi in Slovacchia?

10 Dicembre 2020 - 13:36 Juanne Pili
Uno studio suggerisce i risultati promettenti di un kit antigenico adottato dagli slovacchi, ma sussistono molti limiti. Ecco quali

Il Guardian riporta i risultati di uno studio che attende ancora di superare la revisione, in cui risulterebbe in Slovacchia un calo del tasso di infezione pari al 60% (i ricercatori parlano del 58%). Questo risultato è dovuto all’introduzione massiccia nell’ottobre scorso di test rapidi antigenici da fare in casa, come si usa coi test di gravidanza. Avevamo già trattato in precedenti articoli le opportunità (e i grossi limiti a seconda della qualità del test) di questi piccoli dispositivi a basso costo, che non richiedono di attendere una analisi di laboratorio. Negli Stati Uniti per esempio è stato approvato l’uso a scopi emergenziali del Lucira Covid-19 All in one test kit. La Slovacchia ha adottato invece il test rapido SD Biosensor. Come per tutti gli antigenici, un tampone nasale viene messo a contatto col dispositivo, che contiene degli anticorpi in grado di legare con l’antigene del nuovo Coronavirus, ovvero la glicoproteina Spike (S), che il virus utilizza per infettare le cellule. 

Questo genere di test può dare molti falsi negativi e in alcuni casi anche dei falsi positivi. SARS-CoV-2 si trova soprattutto nei polmoni e in diverse persone risulterebbe difficile da individuare attraverso un tampone nasale. Quello per il test RT-PCR, per esempio – che trova le tracce genetiche del virus – generalmente è oro-faringeo. Così, critiche sulla loro affidabilità a livello individuale non mancano. A livello di comunità invece può rivelarsi molto utile nell’instradare i casi positivi, isolando gli asintomatici, e diagnosticando con più efficenza i casi da ospedalizzare. Per approfondire potete leggere la nostra Guida ai test diagnostici.

L’esperimento dei test rapidi in Slovacchia

Quindi possiamo davvero parlare con assoluta certezza di un calo del 58% del tasso di infezione in Slovacchia dovuto ai test antigenici? Assolutamente no. La notizia è che la distribuzione dei test rapidi alla popolazione, unita alle norme di distanziamento sociale, e a una ordinata gestione dei positivi (poi accertati definitivamente con l’analisi PCR), potrebbe aver aiutato il Paese a gestire meglio la capienza degli ospedali, e una più ordinata gestione degli asintomatici. Il modello seguito dalla Slovacchia prevede che i datori di lavoro non possano ammettere personale privo di una certificazione, dove i dipendenti risultano negativi. Se si viene trovati positivi invece, è imposto l’isolamento per dieci giorni, assieme ai famigliari, senza che questo abbia ripercussioni in busta-paga. Tale certificato non ha però valore se si vuole andare a far visita a degli anziani in una casa di cura, o per organizzare un viaggio. Insomma, nessuno ritiene questi test infallibili.

Parliamo quindi di un metodo per individuare i positivi quando accertati. Lo studio in questione, condotto dai ricercatori della London School of Hygiene & Tropical Medicine, non fa che confermarlo. Questo metodo permette di attuare eventuali lockdown di breve durata, uniti al proseguimento delle norme di distanziamento sociale e all’utilizzo di dispositivi come le mascherine.

I ricercatori, basandosi su un modello di microsimulazione, hanno riscontrato un calo del 58%, nella settimana in cui il test rapido è stato somministrato in massa, nei 45 distretti slovacchi.

«Questa diminuzione non può essere spiegata solo dalle misure di controllo delle infezioni che sono state introdotte nelle settimane precedenti l’intervento, ma richiede l’impatto aggiuntivo dell’isolamento e della quarantena dei membri della famiglia di coloro che risultano positivi durante la campagna di test di massa», spiegano gli autori.

Gli slovacchi hanno così individuato su oltre cinque milioni di test, circa cinquantamila positivi. Al di là dei falsi negativi, si tratta di un risultato importante, perché ha implicato l’isolamento dei rispettivi famigliari e congiunti, questo deve per forza aver avuto una conseguenza sull’andamento epidemiologico della pandemia. Come accennavamo, andrebbe tenuto conto anche di eventuali falsi positivi, infatti lo strumento deve permettere un utilizzo ottimale, entro i limiti nei quali questo potrebbe attivare il segnale per sbaglio, cosa che nel caso del kit utilizzato non dovrebbe aver limitato significativamente i risultati.

«Un numero potenzialmente elevato di falsi positivi nei test è stato oggetto di critiche per le campagne di test di massa – continuano gli autori – Sebbene diversi studi abbiano rilevato un’elevata specificità del kit di test Biosensor, non sono in grado di escludere livelli di specificità che a livello di popolazione produrrebbe una quantità schiacciante di falsi positivi (15, 22). Mostriamo che in effetti la specificità è molto probabilmente superiore al 99,85% e quindi non è di grande preoccupazione in questo studio».

Del resto i ricercatori riportano che il test PCR avrebbe poi «confermato la sorveglianza per l’incidenza giornaliera delle infezioni, come riportato dal Ministero della Salute slovacco». L’affidabilità del test utilizzato è stata inoltre stimata attorno al 95%. Manca tuttavia un confronto dei risultati di questo studio ancora in attesa di revisione, con quelli emersi attraverso altri interventi attuati in precedenza. Sarebbe un dato in più per comprendere l’effettiva rilevanza dell’impiego di questi test, rispetto agli altri provvedimenti adottati in parallelo.

Foto di copertina: lukasmilan | Test di massa in Slovacchia.

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