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Il modello Svezia sta crollando, terapie intensive al collasso a Stoccolma. Il direttore sanitario: «Conseguenze orribili: basta assembramenti»

10 Dicembre 2020 - 11:50 Giada Giorgi
Il direttore dei servizi sanitari della capitale si è rivolto alla popolazione pregandola di evitare assembramenti. La seconda ondata continua a schiacciare il modello svedese

Il modello Svezia tracolla. Il direttore sanitario di Stoccolma, Bjorn Eriksson, ha annunciato un dato mai registrato dai bollettini Covid del Paese da inizio pandemia: le terapie intensive sono al collasso, il 99% dei letti a Stoccolma sono occupati da pazienti affetti dal virus, oltre ai malati gravi per altre patologie. Una percentuale finora mai raggiunta e che fa da specchio ad una situazione ormai fuori controllo. Durante la prima ondata, nella capitale svedese era stato registrato un aumento fino 160 persone, niente però in confronto a quello che sta succedendo in queste ore.

I reparti sono quasi al completo e l’urgenza di evitare ulteriori contagi diventa una necessità imprescindibile «per evitare conseguenze orribili». Durante la conferenza stampa, Eriksson ha rivolto così un appello a tutta la popolazione invitandola a non «assembrarsi nei negozi per lo shopping di Natale» o «nei locali per un bicchiere dopo il lavoro anche se è quello che vogliamo fare». Per la Svezia è tempo di agire presto e bene con misure e restrizioni dunque, un paradosso se si pensa a quanto il modello svedese di lotta al virus abbia sempre esaltato il non bisogno di sistemi costrittivi, agendo negli ultimi mesi in un oggettivo rilassamento.

L’escalation di un fallimento

Sono lontani i giorni in cui in piena prima ondata, ci si chiedeva se il modello svedese, contrario a lockdown e mascherine, fosse, al contrario di quanto stesse succedendo in Italia, in realtà il modo più giusto per combattere il virus. La ricerca dell’immunità di gregge attraverso la libera circolazione della malattia è stata una dei capisaldi della strategia del governo svedede, che ha creato di conseguenza nel resto del mondo un dibattito piuttosto acceso sul tema. Il numero minore dei contagi che arrivava dalle registrazioni dei bollettini svedesi, non faceva altro che aumentare i pensieri sulla possibile efficacia di un metodo alternativo quanto rischioso.

Una strategia in realtà aiutata da un dato sui test effettuati nettamente inferiore a quelli che venivano eseguiti in altri Paesi con numeri di nuovi positivi molto più alti. Andando avanti nel tempo, e alla luce di una seconda ondata ormai accaduta, con superamenti di picco in gran parte dei Paesi occidentali, la Svezia ha cominciato a registrare un graduale tracollo. Ai primi di novembre 2020 l’aumento dei pazienti Covid ospedalizzati è stato del 60% rispetto alla settimana precedente, toccando quota 1.004, una situazione definita grave da Bjorn Eriksson, lo stesso che a distanza di un mese è stato costretto ad annunciare un allarme ancora più grave sulle terapie intensive.

A seguito di quel 60% pericoloso, furono decise raccomandazioni più stringenti per le regioni del Paese maggiormente a rischio: evitare assembramenti, concerti, eventi sportivi, non frequentare centri commerciali e palestre. Misure che, al contrario di quello che saremmo stati abituati a vedere nel nostro Paese in una situazione simile, furono diffuse ancora in qualità di inviti e non divieti.

La situazione poi è continua a peggiorare con conseguente dietro front da parte del governo sull’idea di una responsabilizzazione dei cittadini senza obblighi e divieti impartiti. La prima decisione in questo senso è stata quella di vietare, dal 24 novembre, raduni in pubblico con più di 8 persone e di stoppare la vendita di alcolici da parte di bar e ristoranti negli orari serali. Una retromarcia importante se si pensa che fino a questo momento il limite dei raduni all’aperto era stato di 300 persone, proibendo quindi soltanto i grandissimi eventi.

I dati intanto sono continuati a salire con più di 500 casi ogni 100 mila abitanti, numero di gran lunga superiore a quanto si stava registrando nelle vicine Danimarca, Norvegia e Finlandia, Paesi con molti meno abitanti della Svezia e molti meno casi. Oggi la notizia di un 99% di occupazione delle terapie intensive è la dimostrazione di un escalation di gravità che non accenna a diminuire e di conseguenza, del fallimento di un modello, completamente travolto dalla seconda ondata di contagi.

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